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Santa Messa per l’apertura della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 10.10.2021


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 10.00 di questa mattina, nella Basilica di San Pietro, il Santo Padre Francesco ha celebrato la Santa Messa per l’apertura della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

Omelia del Santo Padre

Un tale, un uomo ricco, va incontro a Gesù mentre Egli «andava per la strada» (Mc 10,17). Molte volte i Vangeli ci presentano Gesù “sulla strada”, mentre si affianca al cammino dell’uomo e si pone in ascolto delle domande che abitano e agitano il suo cuore. Così, Egli ci svela che Dio non alberga in luoghi asettici, in luoghi tranquilli, distanti dalla realtà, ma cammina con noi e ci raggiunge là dove siamo, sulle strade a volte dissestate della vita. E oggi, aprendo questo percorso sinodale, iniziamo con il chiederci tutti – Papa, vescovi, sacerdoti, religiose e religiosi, sorelle e fratelli laici –: noi, comunità cristiana, incarniamo lo stile di Dio, che cammina nella storia e condivide le vicende dell’umanità? Siamo disposti all’avventura del cammino o, timorosi delle incognite, preferiamo rifugiarci nelle scuse del “non serve” o del “si è sempre fatto così”?

Fare Sinodo significa camminare sulla stessa strada, camminare insieme. Guardiamo a Gesù, che sulla strada dapprima incontra l’uomo ricco, poi ascolta le sue domande e infine lo aiuta a discernere che cosa fare per avere la vita eterna. Incontrare, ascoltare, discernere: tre verbi del Sinodo su cui vorrei soffermarmi.

Incontrare. Il Vangelo si apre narrando un incontro. Un uomo va incontro a Gesù, si inginocchia davanti a Lui, ponendogli una domanda decisiva: «Maestro buono, cosa devo fare per avere la vita eterna?» (v. 17). Una domanda così importante esige attenzione, tempo, disponibilità a incontrare l’altro e a lasciarsi interpellare dalla sua inquietudine. Il Signore, infatti, non è distaccato, non si mostra infastidito o disturbato, anzi, si ferma con lui. È disponibile all’incontro. Niente lo lascia indifferente, tutto lo appassiona. Incontrare i volti, incrociare gli sguardi, condividere la storia di ciascuno: ecco la vicinanza di Gesù. Egli sa che un incontro può cambiare la vita. E il Vangelo è costellato di incontri con Cristo che risollevano e guariscono. Gesù non andava di fretta, non guardava l’orologio per finire presto l’incontro. Era sempre al servizio della persona che incontrava, per ascoltarla.

Anche noi, che iniziamo questo cammino, siamo chiamati a diventare esperti nell’arte dell’incontro. Non nell’organizzare eventi o nel fare una riflessione teorica sui problemi, ma anzitutto nel prenderci un tempo per incontrare il Signore e favorire l’incontro tra di noi. Un tempo per dare spazio alla preghiera, all’adorazione – questa preghiera che noi trascuriamo tanto: adorare, dare spazio all’adorazione –, a quello che lo Spirito vuole dire alla Chiesa; per rivolgersi al volto e alla parola dell’altro, incontrarci a tu per tu, lasciarci toccare dalle domande delle sorelle e dei fratelli, aiutarci affinché la diversità di carismi, vocazioni e ministeri ci arricchisca. Ogni incontro – lo sappiamo – richiede apertura, coraggio, disponibilità a lasciarsi interpellare dal volto e dalla storia dell’altro. Mentre talvolta preferiamo ripararci in rapporti formali o indossare maschere di circostanza – lo spirito clericale e di corte: sono più monsieur l’abbé che padre –, l’incontro ci cambia e spesso ci suggerisce vie nuove che non pensavamo di percorrere. Oggi, dopo l’Angelus, riceverò un bel gruppo di persone di strada, che semplicemente si sono radunate perché c’è un gruppo di gente che va ad ascoltarle, soltanto ad ascoltarle. E dall’ascolto sono riusciti a incominciare a camminare. L’ascolto. Tante volte è proprio così che Dio ci indica le strade da seguire, facendoci uscire dalle nostre abitudini stanche. Tutto cambia quando siamo capaci di incontri veri con Lui e tra di noi. Senza formalismi, senza infingimenti, senza trucco.

Secondo verbo: ascoltare. Un vero incontro nasce solo dall’ascolto. Gesù infatti si pone in ascolto della domanda di quell’uomo e della sua inquietudine religiosa ed esistenziale. Non dà una risposta di rito, non offre una soluzione preconfezionata, non fa finta di rispondere con gentilezza solo per sbarazzarsene e continuare per la sua strada. Semplicemente lo ascolta. Tutto il tempo che sia necessario, lo ascolta, senza fretta. E – la cosa più importante – non ha paura, Gesù, di ascoltarlo con il cuore e non solo con le orecchie. Infatti, la sua risposta non si limita a riscontrare la domanda, ma permette all’uomo ricco di raccontare la propria storia, di parlare di sé con libertà. Cristo gli ricorda i comandamenti, e lui inizia a parlare della sua infanzia, a condividere il suo percorso religioso, il modo in cui si è sforzato di cercare Dio. Quando ascoltiamo con il cuore succede questo: l’altro si sente accolto, non giudicato, libero di narrare il proprio vissuto e il proprio percorso spirituale.

Chiediamoci, con sincerità, in questo itinerario sinodale: come stiamo con l’ascolto? Come va “l’udito” del nostro cuore? Permettiamo alle persone di esprimersi, di camminare nella fede anche se hanno percorsi di vita difficili, di contribuire alla vita della comunità senza essere ostacolate, rifiutate o giudicate? Fare Sinodo è porsi sulla stessa via del Verbo fatto uomo: è seguire le sue tracce, ascoltando la sua Parola insieme alle parole degli altri. È scoprire con stupore che lo Spirito Santo soffia in modo sempre sorprendente, per suggerire percorsi e linguaggi nuovi. È un esercizio lento, forse faticoso, per imparare ad ascoltarci a vicenda – vescovi, preti, religiosi e laici, tutti, tutti i battezzati – evitando risposte artificiali e superficiali, risposte prêt-à-porter, no. Lo Spirito ci chiede di metterci in ascolto delle domande, degli affanni, delle speranze di ogni Chiesa, di ogni popolo e nazione. E anche in ascolto del mondo, delle sfide e dei cambiamenti che ci mette davanti. Non insonorizziamo il cuore, non blindiamoci dentro le nostre certezze. Le certezze tante volte ci chiudono. Ascoltiamoci.

Infine, discernere. L’incontro e l’ascolto reciproco non sono qualcosa di fine a sé stesso, che lascia le cose come stanno. Al contrario, quando entriamo in dialogo, ci mettiamo in discussione, in cammino, e alla fine non siamo gli stessi di prima, siamo cambiati. Il Vangelo oggi ce lo mostra. Gesù intuisce che l’uomo che ha di fronte è buono e religioso e pratica i comandamenti, ma vuole condurlo oltre la semplice osservanza dei precetti. Nel dialogo, lo aiuta a discernere. Gli propone di guardarsi dentro, alla luce dell’amore con cui Egli stesso, fissandolo, lo ama (cfr v. 21), e di discernere in questa luce a che cosa il suo cuore è davvero attaccato. Per poi scoprire che il suo bene non è aggiungere altri atti religiosi, ma, al contrario, svuotarsi di sé: vendere ciò che occupa il suo cuore per fare spazio a Dio.

È una preziosa indicazione anche per noi. Il Sinodo è un cammino di discernimento spirituale, di discernimento ecclesiale, che si fa nell’adorazione, nella preghiera, a contatto con la Parola di Dio. E la seconda Lettura proprio oggi ci dice che la Parola di Dio «è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12). La Parola ci apre al discernimento e lo illumina. Essa orienta il Sinodo perché non sia una “convention” ecclesiale, un convegno di studi o un congresso politico, perché non sia un parlamento, ma un evento di grazia, un processo di guarigione condotto dallo Spirito. In questi giorni Gesù ci chiama, come fece con l’uomo ricco del Vangelo, a svuotarci, a liberarci di ciò che è mondano, e anche delle nostre chiusure e dei nostri modelli pastorali ripetitivi; a interrogarci su cosa ci vuole dire Dio in questo tempo e verso quale direzione vuole condurci.

Cari fratelli e sorelle, buon cammino insieme! Che possiamo essere pellegrini innamorati del Vangelo, aperti alle sorprese dello Spirito Santo. Non perdiamo le occasioni di grazia dell’incontro, dell’ascolto reciproco, del discernimento. Con la gioia di sapere che, mentre cerchiamo il Signore, è Lui per primo a venirci incontro con il suo amore.

[01385-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Un homme riche va à la rencontre de Jésus alors qu’il «se met en route» (Mc 10, 17). Souvent, les Evangiles nous montrent Jésus «sur la route», marchant aux côtés de l’homme, à l’écoute des questions qui habitent et agitent son cœur. Il nous révèle ainsi que Dieu n’habite pas les lieux aseptisés, les lieux tranquilles, loin du réel, mais qu’il chemine avec nous et nous rejoint là où nous sommes, sur les sentiers souvent ardus de la vie. En ouvrant aujourd’hui le parcours synodal, commençons par tous nous demander – Pape, évêques, prêtres, religieux et religieuses, frères et sœurs laïcs –: nous, communauté chrétienne, incarnons-nous le style de Dieu, qui chemine dans l’histoire et partage les défis de l’humanité? Sommes-nous disposés à vivre l’aventure du cheminement ou, par peur de l’inconnu, nous réfugions-nous dans les excuses du «cela ne sert à rien» ou du «on a toujours fait ainsi»?

«Faire Synode» signifie marcher sur la même route, marcher ensemble. Regardons Jésus sur le chemin, qui rencontre d’abord l’homme riche, puis écoute ses questions, et enfin l’aide à discerner ce qu’il faut faire pour avoir la Vie éternelle. Rencontrer, écouter, discerner: trois verbes du Synode sur lesquels je voudrais m’attarder.

Rencontrer. L’Evangile s’ouvre par le récit d’une rencontre. Un homme va à la rencontre de Jésus, s’agenouille devant lui, et pose une question décisive: «Bon Maître, que dois-je faire pour avoir la Vie éternelle?» (v. 17) Une demande aussi importante réclame de l’attention, du temps, de la disponibilité à rencontrer l’autre et à se laisser interpeller par son inquiétude. De fait, le Seigneur ne se met pas à distance, il ne se montre pas agacé ou dérangé; au contraire, il s’arrête avec lui. Il est disponible à la rencontre. Rien ne le laisse indifférent, tout le passionne. Rencontrer les visages, croiser les regards, partager l’histoire de chacun: voilà la proximité de Jésus. Il sait qu’une rencontre peut changer une vie. Et l’Evangile est parsemé de ces rencontres avec le Christ qui relèvent et guérissent. Jésus n’était pas pressé, il ne regardait pas sa montre pour terminer la rencontre en avance. Il était toujours au service de la personne qu’il rencontrait, pour l’écouter.

En commençant ce parcours, nous sommes aussi appelés à devenir experts dans l’art de la rencontre. Non pas dans l’organisation d’évènements, ou dans la réflexion théorique sur des problèmes, mais avant tout dans le fait de prendre le temps de rencontrer le Seigneur, et de favoriser la rencontre entre nous. Un temps pour donner de la place à la prière, à l’adoration – cette prière que nous négligeons tant: adorer, faire place à l’adoration –, à ce que l’Esprit veut dire à l’Eglise; un temps pour se tourner vers le visage et la parole de l’autre, pour la rencontre en tête à tête, pour se laisser toucher par les questionnements des sœurs et des frères, pour s’aider mutuellement afin de nous enrichir de la diversité des charismes, des vocations et des ministères. Chaque rencontre – nous le savons bien –, demande de l’ouverture, du courage, de la disponibilité à se laisser interpeller par le visage et l’histoire de l’autre. Même si nous préférons parfois nous abriter dans des relations formelles ou porter un masque de circonstance – l’esprit clérical ou de cour: je suis plus monsieur l’abbé que père –, la rencontre nous transforme et nous suggère souvent de nouveaux chemin que nous n’avions pas imaginés parcourir. Aujourd’hui, après l’Angélus, je vais recevoir un groupe de gens de la rue, qui se sont simplement rassemblés parce qu’il y a un groupe de personnes qui va les écouter, seulement pour les écouter. Et de l’écoute, ils ont réussi à se mettre à marcher. L’écoute. C’est souvent ainsi que Dieu nous indique la route à suivre, en nous faisant sortir de nos routines fatiguées. Tout change lorsque nous sommes capables de vraies rencontres avec lui et entre nous. Sans formalismes, sans prétextes, sans calcul.

Deuxième verbe: écouter. La vraie rencontre naît seulement de l’écoute. Jésus, en effet, se met à l’écoute de la question de cet homme et de son inquiétude religieuse et existentielle. Il ne donne pas une réponse "rituelle", il n’offre pas une solution toute faite, il ne fait pas semblant de répondre poliment pour s’en débarrasser et continuer sa route. Il l’écoute simplement. Tant qu’il le faut, il l’écoute, sans hâte. Et – la chose la plus importante – Jésus n’a pas peur de l’écouter avec le cœur, et pas seulement avec les oreilles. D’ailleurs, il ne se contente pas de répondre à la question, mais il permet à l’homme riche de raconter son histoire personnelle, de parler de soi librement. Le Christ lui rappelle les commandements, et celui-ci commence à raconter son enfance, à évoquer son parcours religieux, la manière avec laquelle il s’est efforcé de chercher Dieu. Lorsque nous écoutons avec le cœur, c’est ce qui arrive: l’autre se sent accueilli, non pas jugé, libre de raconter son vécu et son parcours spirituel.

Interrogeons-nous, avec sincérité, dans cet itinéraire synodal: comment sommes-nous à l’écoute? Quelle est la qualité d’écoute de notre cœur? Permettons-nous aux personnes de s’exprimer, de cheminer dans la foi même si elles ont des parcours de vie difficiles, de contribuer à la vie de la communauté sans être empêchées, rejetées ou jugées? Faire Synode, c’est emboîter le pas au Verbe fait homme, suivre ses traces en écoutant sa Parole avec les paroles des autres. C’est découvrir avec stupeur que l’Esprit Saint souffle toujours de façon surprenante, pour suggérer des parcours et des langages nouveaux. C’est un exercice lent, qui peut être laborieux, d’apprendre à s’écouter mutuellement – évêques, prêtres, religieux et laïcs, tous, tous les baptisés – en évitant les réponses artificielles et superficielles, les réponses prêt-à-porter, non. L’Esprit nous demande de nous mettre à l’écoute des demandes, des angoisses, des espérances de chaque Eglise, de chaque peuple et nation, mais aussi à l’écoute du monde, des défis et des changements qu’il nous présente. N’insonorisons pas notre cœur, ne nous blindons pas dans nos certitudes. Les certitudes nous ferment souvent. Ecoutons-nous.

Enfin, discerner. La rencontre et l’écoute réciproque ne sont pas une fin en soi, qui laisseraient les choses demeurer en l’état. Au contraire, lorsque l’on entre en dialogue, nous nous mettons en discussion, en chemin, de telle façon qu’à la fin, nous ne sommes plus les mêmes qu’auparavant, nous sommes changés. L’Evangile d’aujourd’hui nous le montre: Jésus devine que l’homme en face de lui est bon et religieux, qu’il pratique les commandements, mais il veut le conduire au-delà de la simple observance des préceptes. Dans le dialogue, il l’aide à discerner. Il lui propose de regarder au fond de lui-même, à la lumière de l’amour avec lequel lui, Jésus, fixant son regard sur lui, l’aime (cf.v.21), et de discerner, à cette lumière, à quoi son cœur est réellement attaché. Il découvre ainsi que son bien ne consiste pas à ajouter d’autres actes religieux mais, au contraire, à se vider de lui-même: vendre ce qui occupe son cœur pour laisser de l’espace à Dieu.

C’est une précieuse indication aussi pour nous. Le Synode est un chemin de discernement spirituel, de discernement ecclésial, qui se fait dans l’adoration, dans la prière, au contact de la Parole de Dieu. La deuxième lecture d’aujourd’hui nous dit précisément que la Parole de Dieu est «vivante, énergique et plus coupante qu’une épée à deux tranchants ; elle va jusqu’au point de partage de l’âme et de l’esprit, des jointures et des moelles ; elle juge des intentions et des pensées du cœur» (He 4, 12). La Parole nous ouvre au discernement et l’éclaire. Qu’elle oriente le Synode, pour qu’il ne soit pas une "convention" ecclésiale, un colloque d’études ou un congrès politique, pour qu’il ne soit pas un parlement, mais un évènement de grâce, un processus de guérison conduit par l’Esprit. En ces jours, Jésus nous appelle, comme il l’a fait avec l’homme riche de l’Evangile, à nous vider, à nous libérer de ce qui est mondain, et aussi de nos fermetures et de nos modèles pastoraux répétitifs. Il nous appelle à nous interroger sur ce que Dieu veut nous dire en ce temps, et dans quelle direction il souhaite nous conduire.

Chers frères et sœurs, je vous souhaite un bon chemin ensemble! Puissions-nous être des pèlerins amoureux de l’Evangile, ouverts aux surprises de l’Esprit Saint. Ne perdons pas les occasions de grâce de la rencontre, de l’écoute réciproque, du discernement. Avec la joie de savoir qu’alors que nous cherchons le Seigneur, c’est bien lui, le premier, qui se porte avec amour à notre rencontre.

[01385-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

A certain rich man came up to Jesus “as he was setting out on his journey” (Mk 10:17). The Gospels frequently show us Jesus “on a journey”; he walks alongside people and listens to the questions and concerns lurking in their hearts. He shows us that God is not found in neat and orderly places, distant from reality, but walks ever at our side. He meets us where we are, on the often rocky roads of life. Today, as we begin this synodal process, let us begin by asking ourselves – all of us, Pope, bishops, priests, religious and laity – whether we, the Christian community, embody this “style” of God, who travels the paths of history and shares in the life of humanity. Are we prepared for the adventure of this journey? Or are we fearful of the unknown, preferring to take refuge in the usual excuses: “It’s useless” or “We’ve always done it this way”?

Celebrating a Synod means walking on the same road, walking together. Let us look at Jesus. First, he encounters the rich man on the road; he then listens to his questions, and finally he helps him discern what he must do to inherit eternal life. Encounter, listen and discern. I would like to reflect on these three verbs that characterize the Synod.

The first is encounter. The Gospel passage begins by speaking of an encounter. A man comes up to Jesus and kneels down before him, asking him a crucial question: “Good Teacher, what must I do to inherit eternal life?” (v. 17). So important a question requires attention, time, willingness to encounter others and sensitivity to what troubles them. The Lord is not stand aloof; he does not appear annoyed or disturbed. Instead, he is completely present to this person. He is open to encounter. Nothing leaves Jesus indifferent; everything is of concern to him. Encountering faces, meeting eyes, sharing each individual’s history. That is the closeness that Jesus embodies. He knows that someone’s life can be changed by a single encounter. The Gospel is full of such encounters with Christ, encounters that uplift and bring healing. Jesus did not hurry along, or keep looking at his watch to get the meeting over. He was always at the service of the person he was with, listening to what he or she had to say.

As we initiate this process, we too are called to become experts in the art of encounter. Not so much by organizing events or theorizing about problems, as in taking time to encounter the Lord and one another. Time to devote to prayer and to adoration – that form of prayer that we so often neglect – devoting time to adoration, and to hearing what the Spirit wants to say to the Church. Time to look others in the eye and listen to what they have to say, to build rapport, to be sensitive to the questions of our sisters and brothers, to let ourselves be enriched by the variety of charisms, vocations and ministries. Every encounter – as we know – calls for openness, courage and a willingness to let ourselves be challenged by the presence and the stories of others. If at times we would rather take refuge in formality or presenting the proper image – the clerical and courtly spirit, where I am more Monsieur l’abbé than Father – the experience of encounter changes us; frequently it opens up new and unexpected possibilities. Following today’s Angelus, I will meet with a group of street people who came together simply because a group of people made an effort to listen to them, sometimes just to listen to them. And from that listening they succeeded in setting out on a new path. So often God points out new paths in just this way. He invites us to leave our old habits behind. Everything changes once we are capable of genuine encounters with him and with one another, without formalism or pretense, but simply as we are.

The second verb is listen. True encounter arises only from listening. Jesus listened to that man’s question and to the religious and existential concerns that lay behind it. He did not give a non-committal reply or offer a prepackaged solution; he did not pretend to respond politely, simply as a way of dismissing him and continuing on his way. Jesus simply listens, for whatever amount of time it takes; he is not rushed. Most importantly, he is not afraid to listen to him with his heart and not just with his ears. Indeed, he does more than simply answer the rich man’s question; he lets him tell his story, to speak freely about himself. Christ reminds him of the commandments, and the man starts to talk about his youth, to share his religious journey and his efforts to seek God. This happens whenever we listen with the heart: people feel that they are being heard, not judged; they feel free to recount their own experiences and their spiritual journey.

Let us ask ourselves frankly during this synodal process: Are we good at listening? How good is the “hearing” of our heart? Do we allow people to express themselves, to walk in faith even though they have had difficulties in life, and to be part of the life of the community without being hindered, rejected or judged? Participating in a Synod means placing ourselves on the same path as the Word made flesh. It means following in his footsteps, listening to his word along with the words of others. It means discovering with amazement that the Holy Spirit always surprises us, to suggest fresh paths and new ways of speaking. It is a slow and perhaps tiring exercise, this learning to listen to one another – bishops, priests, religious and laity, all the baptized – and to avoid artificial and shallow and pre-packaged responses. The Spirit asks us to listen to the questions, concerns and hopes of every Church, people and nation. And to listen to the world, to the challenges and changes that it sets before us. Let us not soundproof our hearts; let us not remain barricaded in our certainties. So often our certainties can make us closed. Let us listen to one another.

Finally, discern. Encounter and listening are not ends in themselves, leaving everything just as it was before. On the contrary, whenever we enter into dialogue, we allow ourselves to be challenged, to advance on a journey. And in the end, we are no longer the same; we are changed. We see this in today’s Gospel. Jesus senses that the person before him is a good and religious man, obedient to the commandments, but he wants to lead him beyond the mere observance of precepts. Through dialogue, he helps him to discern. Jesus encourages that man to look within, in the light of the love that the Lord himself had shown by his gaze (cf. v. 21), and to discern in that light what his heart truly treasures. And in this way to discover that he cannot attain happiness by filling his life with more religious observances, but by emptying himself, selling whatever takes up space in his heart, in order to make room for God.

Here is a valuable lesson also for us. The Synod is a process of spiritual discernment, of ecclesial discernment, that unfolds in adoration, in prayer and in dialogue with the word of God. Today’s second reading tells us that God’s word is “living and active, sharper than any two-edged sword, piercing to the division of soul and spirit, of joints and marrow, and discerning the thoughts and intentions of the heart” (Heb 4:12). That word summons us to discernment and it brings light to that process. It guides the Synod, preventing it from becoming a Church convention, a study group or a political gathering, a parliament, but rather a grace-filled event, a process of healing guided by the Spirit. In these days, Jesus calls us, as he did the rich man in the Gospel, to empty ourselves, to free ourselves from all that is worldly, including our inward-looking and outworn pastoral models; and to ask ourselves what it is that God wants to say to us in this time. And the direction in which he wants to lead us.

Dear brothers and sisters, let us have a good journey together! May we be pilgrims in love with the Gospel and open to the surprises of the Holy Spirit. Let us not miss out on the grace-filled opportunities born of encounter, listening and discernment. In the joyful conviction that, even as we seek the Lord, he always comes with his love to meet us first.

[01385-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Ein Mann, ein Reicher, geht Jesus entgegen, als er »sich auf den Weg machte« (Mk 10,17). Die Evangelien stellen uns Jesus oft „auf dem Weg“ vor, wie er den Weg des Menschen begleitet und den Fragen zuhört, die dessen Herz beschäftigen und bewegen. So zeigt er uns, dass Gott nicht an isolierten Orten, an ruhigen Orten wohnt, weit weg von der Realität, sondern mit uns geht und uns dort erreicht, wo immer wir sind, auf den manchmal holprigen Straßen des Lebens. Und heute, da wir den synodalen Weg eröffnen, beginnen wir damit, uns selbst zu fragen - der Papst, die Bischöfe, die Priester, die Ordensmänner und -frauen, die Laiinnen und Laien -: Verkörpern wir, die christliche Gemeinschaft, den Stil Gottes, der durch die Geschichte hindurchgeht und die Ereignisse der Menschheit teilt? Sind wir bereit, uns auf das Abenteuer des Weges einzulassen, oder flüchten wir uns aus Angst vor dem Unbekannten lieber in die Ausreden „das ist nicht nötig“ oder „das hat man schon immer so gemacht“?

Eine Synode abzuhalten bedeutet, auf demselben Weg zu gehen, gemeinsam unterwegs zu sein. Schauen wir auf Jesus, der auf der Straße zuerst dem reichen Mann begegnet, sich dann seine Fragen anhört und ihm schließlich hilft zu unterscheiden, was er tun muss, um das ewige Leben zu gewinnen. Begegnen, zuhören, unterscheiden: drei Verben des synodalen Weges, auf die ich mich konzentrieren möchte.

Begegnen. Das Evangelium beginnt mit der Erzählung einer Begegnung. Ein Mann geht auf Jesus zu, kniet vor ihm nieder und stellt ihm eine entscheidende Frage: »Guter Meister, was muss ich tun, um das ewige Leben zu erben?« (v. 17). Eine so wichtige Frage erfordert Aufmerksamkeit, Zeit, die Bereitschaft, dem anderen zu begegnen und sich von seiner Unruhe herausfordern zu lassen. Der Herr ist in der Tat nicht distanziert, er zeigt sich nicht verärgert oder beunruhigt, im Gegenteil, er bleibt bei ihm. Er ist offen für Begegnung. Nichts lässt ihn gleichgültig, alles bewegt ihn. Die Begegnung mit Gesichtern, das Kreuzen von Blicken, das Teilen der Geschichte eines jeden Menschen: das ist die Nähe Jesu. Er weiß, dass eine Begegnung das Leben verändern kann. Und das Evangelium ist voll von Begegnungen mit Christus, die aufrichten und heilen. Jesus hatte keine Eile, er schaute nicht auf die Uhr, um diese Begegnung schnell zu beenden. Immer war er der Person zu Diensten, die er gerade traf, um ihr zuzuhören.

Auch wir, die wir diesen synodalen Weg beginnen, sind aufgerufen, Experten in der Kunst der Begegnung zu werden. Es geht nicht darum, Veranstaltungen zu organisieren oder theoretische Überlegungen zu den Problemen anzustellen, sondern vor allem darum, uns Zeit zu nehmen, um dem Herrn zu begegnen und die Begegnung unter uns zu fördern. Eine Zeit, um dem Gebet, der Anbetung – diesem Gebet, das wir so sehr vernachlässigen: anbeten, der Anbetung Raum geben – und dem, was der Geist der Kirche sagen will, Raum zu geben; sich dem Gesicht und dem Wort des anderen zuzuwenden, uns von Angesicht zu Angesicht zu begegnen, uns von den Fragen der Schwestern und Brüder berühren zu lassen, uns gegenseitig dabei zu helfen, dass die Vielfalt der Charismen, der Berufungen und der Ämter uns bereichert. Jede Begegnung erfordert - wie wir wissen - Offenheit, Mut und die Bereitschaft, sich vom Gesicht und von der Geschichte des anderen herausfordern zu lassen. Während wir es manchmal vorziehen, uns in formale Beziehungen zu flüchten oder Masken der Konvention zu tragen – der klerikale Geist ist höfisch: das sind eher monsieur l’abbé als väterliche Priestergestalten – verändert uns die Begegnung und zeigt uns oft neue Wege auf, die wir nicht für möglich gehalten hätten. Heute nach dem Angelus empfange ich eine Gruppe Menschen von der Straße, die einfach deshalb zusammengekommen sind, weil es eine Gruppe von Leuten gibt, die zu ihnen geht und ihnen zuhört, einfach nur zuhört. Und aus dem Zuhören heraus haben sie es geschafft, sich auf einen Weg zu begeben. Das Zuhören. Oft zeigt uns Gott gerade auf diese Weise die Wege, die wir gehen sollen, und bringt uns aus unseren müden Gewohnheiten heraus. Alles ändert sich, wenn wir zu echten Begegnungen mit ihm und untereinander fähig sind. Ohne Formalismus, ohne Täuschungen, ungeschminkt.

Das zweite Verb: zuhören. Eine echte Begegnung entsteht nur durch Zuhören. Jesus hört sich die Frage des Mannes und seine religiöse und existenzielle Unruhe an. Er gibt keine rituelle Antwort, er bietet keine vorgefertigte Lösung an, er gibt nicht vor, freundlich zu antworten, nur um ihn loszuwerden und seinen Weg fortzusetzen. Er hört ihm einfach zu. Er hört ihm so lange zu wie es nötig ist, ohne Eile. Und, das ist das wichtigste, er, Jesus, hat keine Angst, ihm mit dem Herzen zuzuhören und nicht nur mit den Ohren. Seine Antwort nimmt nicht nur die Frage zur Kenntnis, sondern erlaubt dem reichen Mann, seine eigene Geschichte zu erzählen und frei über sich selbst zu sprechen. Christus erinnert ihn an die Gebote, und er beginnt, von seiner Kindheit zu erzählen, von seinem religiösen Weg, von seiner Weise, nach Gott zu streben. Wenn wir mit dem Herzen zuhören, geschieht genau das: Die andere Person fühlt sich angenommen, nicht beurteilt, und frei, von ihren eigenen Erfahrungen und ihrem spirituellen Weg zu erzählen.

Fragen wir uns auf diesem Synodenweg ehrlich: Wie halten wir es mit dem Zuhören? Wie steht es um das „Hören“ unseres Herzens? Erlauben wir den Menschen, sich zu äußern, im Glauben voranzuschreiten, auch wenn sie schwierige Lebenswege haben; zum Leben der Gemeinschaft beizutragen, ohne behindert, abgelehnt oder verurteilt zu werden? Eine Synode abzuhalten bedeutet, sich auf denselben Weg zu begeben wie das Wort, das Mensch geworden ist: Es bedeutet, in seine Fußstapfen zu treten und sein Wort zusammen mit den Worten der anderen zu hören. Es geht darum, mit Erstaunen zu entdecken, dass der Heilige Geist auf immer überraschende Weise weht, um neue Wege und Sprachen zu suggerieren. Es ist eine langsame, vielleicht mühsame Übung, zu lernen, einander zuzuhören - Bischöfe, Priester, Ordensleute und Laien, alle, alle Getauften - und dabei künstliche und oberflächliche Antworten, Antworten prêt-à-porter, zu vermeiden. Der Geist fordert uns auf, die Fragen, die Ängste und die Hoffnungen jeder Kirche, jedes Volkes und jeder Nation anzuhören. Und auch, auf die Welt zu hören, auf die Herausforderungen und Veränderungen, vor die sie uns stellt. Wir dürfen unsere Herzen nicht schalldicht machen, wir dürfen uns nicht hinter unseren Gewissheiten verbarrikadieren. Diese Gewissheiten machen uns oft verschlossen. Lasst uns gegenseitig zuhören.

Und schließlich: unterscheiden. Sich zu treffen und einander zuzuhören ist kein Selbstzweck, der die Dinge lässt, wie sie sind. Im Gegenteil, wenn wir in den Dialog eintreten, stellen wir uns selbst in Frage, wir machen uns auf den Weg, und am Ende sind wir nicht mehr dieselben wie vorher, wir haben uns verändert. Das heutige Evangelium zeigt uns dies. Jesus spürt, dass der Mann, der vor ihm steht, gut und religiös ist und die Gebote einhält, aber er will ihn über die bloße Einhaltung der Gebote hinausführen. Im Dialog hilft er ihm, zu unterscheiden. Er schlägt ihm vor, in sich selbst hinein zu schauen, im Licht der Liebe, mit der er selbst, der ihn ansieht, ihn liebt (vgl. V. 21), und in diesem Licht zu unterscheiden, woran sein Herz wirklich hängt. Und um dann zu entdecken, dass sein Gut nicht darin besteht, weitere religiöse Handlungen hinzuzufügen, sondern im Gegenteil, sich zu entleeren: zu veräußern, was sein Herz vereinnahmt, um Platz für Gott zu schaffen.

Dies ist auch für uns ein wertvoller Hinweis. Die Synode ist ein Weg der geistlichen Unterscheidung, ein kirchlicher Unterscheidungsprozess, der in der Anbetung, im Gebet und im Kontakt mit dem Wort Gottes stattfindet. Und die zweite Lesung gerade heute sagt uns, dass das Wort Gottes »lebendig ist […], wirksam und schärfer als jedes zweischneidige Schwert; es dringt durch bis zur Scheidung von Seele und Geist, von Gelenken und Mark; es richtet über die Regungen und Gedanken des Herzens« (Hebr 4,12). Das Wort öffnet uns die Augen für die Unterscheidung und erleuchtet sie. Es richtet die Synode so aus, dass sie keine kirchliche „convention“, keine Studientagung oder ein politischer Kongress ist, dass sie kein Parlament ist, sondern ein Ereignis der Gnade, ein Heilungsprozess unter der Leitung des Heiligen Geistes. In diesen Tagen ruft uns Jesus auf, so wie er es mit dem reichen Mann im Evangelium getan hat, uns leer zu machen, uns von dem zu befreien, was weltlich ist, und auch von unseren Verschlossenheiten und unseren sich wiederholenden pastoralen Modellen; uns zu fragen, was Gott uns in dieser Zeit sagen will und in welche Richtung er uns führen möchte.

Liebe Brüder und Schwestern, ich wünsche uns einen guten gemeinsamen Weg! Mögen wir Pilger sein, die das Evangelium lieben und offen sind für die Überraschungen des Heiligen Geistes. Lassen wir uns die Gnadenmomente der Begegnung, des Einander-Zuhörens und der Unterscheidung nicht entgehen. Tun wir dies in der freudigen Gewissheit, dass der Herr, den wir suchen, uns mit seiner Liebe zuvorkommt.

[01385-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Una persona, un hombre rico, corrió hacia Jesús mientras Él «iba de camino» (Mc 10,17). Muchas veces los Evangelios nos presentan a Jesús “en camino”, acompañando al hombre en su marcha y escuchando las preguntas que pueblan e inquietan su corazón. De este modo, Él nos revela que Dios no habita en lugares asépticos, en lugares tranquilos, lejos de la realidad, sino que camina a nuestro lado y nos alcanza allí donde estemos, en las rutas a veces ásperas de la vida. Y hoy, al dar inicio al itinerario sinodal, todos —el Papa, los obispos, los sacerdotes, las religiosas y los religiosos, las hermanas y los hermanos laicos— comenzamos preguntándonos: nosotros, comunidad cristiana, ¿encarnamos el estilo de Dios, que camina en la historia y comparte las vicisitudes de la humanidad? ¿Estamos dispuestos a la aventura del camino o, temerosos ante lo incierto, preferimos refugiarnos en las excusas del “no hace falta” o del “siempre se ha hecho así”?

Hacer sínodo significa caminar juntos en la misma dirección. Miremos a Jesús, que en primer lugar encontró en el camino al hombre rico, después escuchó sus preguntas y finalmente lo ayudó a discernir qué tenía que hacer para heredar la vida eterna. Encontrar, escuchar, discernir: tres verbos del Sínodo en los que quisiera detenerme.

Encontrar. El Evangelio comienza refiriendo un encuentro. Un hombre se encontró con Jesús y se arrodilló ante Él, haciéndole una pregunta decisiva: «Maestro bueno, ¿qué tengo que hacer para heredar la vida eterna?» (v. 17). Una pregunta tan importante exige atención, tiempo, disponibilidad para encontrarse con el otro y dejarse interpelar por su inquietud. El Señor, en efecto, no se muestra distante, molesto o alterado, al contrario, se detiene con él. Está disponible para el encuentro. Nada lo deja indiferente, todo lo apasiona. Encontrar los rostros, cruzar las miradas, compartir la historia de cada uno; esta es la cercanía de Jesús. Él sabe que un encuentro puede cambiar la vida. Y en el Evangelio abundan encuentros con Cristo que reaniman y curan. Jesús no tenía prisa, no miraba el reloj para terminar rápido el encuentro. Siempre estaba al servicio de la persona que encontraba, para escucharla.

También nosotros, que comenzamos este camino, estamos llamados a ser expertos en el arte del encuentro. No en organizar eventos o en hacer una reflexión teórica de los problemas, sino, ante todo, en tomarnos tiempo para estar con el Señor y favorecer el encuentro entre nosotros. Un tiempo para dar espacio a la oración, a la adoración, esta oración que tanto descuidamos: adorar, dar espacio a la adoración, a lo que el Espíritu quiere decir a la Iglesia; para enfocarnos en el rostro y la palabra del otro, encontrarnos cara a cara, dejarnos alcanzar por las preguntas de las hermanas y los hermanos, ayudarnos para que la diversidad de los carismas, vocaciones y ministerios nos enriquezca. Todo encuentro —lo sabemos— requiere apertura, valentía, disponibilidad para dejarse interpelar por el rostro y la historia del otro. Mientras a menudo preferimos refugiarnos en relaciones formales o usar máscaras de circunstancia, el espíritu clerical y de corte, soy más monsieur l’abbé que padre, el encuentro nos cambia y con frecuencia nos sugiere nuevos caminos que no pensábamos recorrer. Hoy, después del Ángelus, recibiré a un grupo de personas de la calle, que simplemente se reunió porque hay un grupo de gente que va a escucharlos, solo para escucharlos. Y desde la escucha lograron empezar a caminar. Muchas veces es este justamente el modo en que Dios nos indica la vía a seguir, haciéndonos salir de nuestras rutinas desgastadas. Todo cambia cuando somos capaces de encuentros auténticos con Él y entre nosotros. Sin formalismos, sin falsedades, sin maquillajes.

Segundo verbo: escuchar. Un verdadero encuentro sólo nace de la escucha. Jesús, en efecto, se puso a escuchar la pregunta de aquel hombre y su inquietud religiosa y existencial. No dio una respuesta formal, no ofreció una solución prefabricada, no fingió responder con amabilidad sólo para librarse de él y continuar su camino. Simplemente lo escuchó. Todo el tiempo que fue necesario lo escuchó sin prisa. Y la cosa más importante, Jesús no tiene miedo de escucharlo con el corazón y no sólo con los oídos. En efecto, su respuesta no se limitó a contestar la pregunta, sino que le permitió al hombre rico que contara su propia historia, que hablara de sí mismo con libertad. Cristo le recordó los mandamientos, y él comenzó a hablar de su infancia, a compartir su itinerario religioso, la manera en la que se había esforzado por buscar a Dios. Cuando escuchamos con el corazón sucede esto: el otro se siente acogido, no juzgado, libre para contar la propia experiencia de vida y el propio camino espiritual.

Preguntémonos, con sinceridad en este itinerario sinodal: ¿cómo estamos con la escucha? ¿Cómo va “el oído” de nuestro corazón? ¿Permitimos a las personas que se expresen, que caminen en la fe aun cuando tengan recorridos de vida difíciles, que contribuyan a la vida de la comunidad sin que se les pongan trabas, sin que sean rechazadas o juzgadas? Hacer sínodo es ponerse en el mismo camino del Verbo hecho hombre, es seguir sus huellas, escuchando su Palabra junto a las palabras de los demás. Es descubrir con asombro que el Espíritu Santo siempre sopla de modo sorprendente, sugiriendo recorridos y lenguajes nuevos. Es un ejercicio lento, quizá fatigoso, para aprender a escucharnos mutuamente —obispos, sacerdotes, religiosos y laicos, todos, todos los bautizados— evitando respuestas artificiales y superficiales, respuestas prêt-à-porter, no. El Espíritu nos pide que nos pongamos a la escucha de las preguntas, de los afanes, de las esperanzas de cada Iglesia, de cada pueblo y nación. Y también a la escucha del mundo, de los desafíos y los cambios que nos pone delante. No insonoricemos el corazón, no nos blindemos dentro de nuestras certezas. Las certezas tantas veces nos cierran. Escuchémonos.

Por último, discernir. El encuentro y la escucha recíproca no son algo que acaba en sí mismo, que deja las cosas tal como están. Al contrario, cuando entramos en diálogo, iniciamos el debate y el camino, y al final no somos los mismos de antes, hemos cambiado. Hoy, el Evangelio nos lo muestra. Jesús intuye que el hombre que tiene delante es bueno, religioso y practica los mandamientos, pero quiere conducirlo más allá de la simple observancia de los preceptos. En el diálogo, lo ayuda a discernir. Le propone que mire su interior, a la luz del amor con el que Él mismo, mirándolo, lo ama (cf. v. 21), y que con esta luz discierna a qué está apegado verdaderamente su corazón. Para que luego descubra que su bien no es añadir otros actos religiosos sino, por el contrario, vaciarse de sí mismo, vender lo que ocupa su corazón para hacer espacio a Dios.

Es una indicación preciosa también para nosotros. El sínodo es un camino de discernimiento espiritual, de discernimiento eclesial, que se realiza en la adoración, en la oración, en contacto con la Palabra de Dios. Y hoy la segunda lectura nos dice justamente que «la Palabra de Dios es viva, eficaz y más cortante que una espada de dos filos: ella penetra hasta dividir alma y espíritu, articulaciones y médulas, y discierne las intenciones y pensamientos del corazón» (Hb 4,12). La Palabra nos abre al discernimiento y lo ilumina, orienta el Sínodo para que no sea una “convención” eclesial, una conferencia de estudios o un congreso político, para que no sea un parlamento, sino un acontecimiento de gracia, un proceso de sanación guiado por el Espíritu. Jesús, como hizo con el hombre rico del Evangelio, nos llama en estos días a vaciarnos, a liberarnos de lo que es mundano, y también de nuestras cerrazones y de nuestros modelos pastorales repetitivos; a interrogarnos sobre lo que Dios nos quiere decir en este tiempo y en qué dirección quiere orientarnos.

Queridos hermanos y hermanas, ¡buen camino juntos! Que podamos ser peregrinos enamorados del Evangelio, abiertos a las sorpresas del Espíritu Santo. No perdamos las ocasiones de gracia del encuentro, de la escucha recíproca, del discernimiento. Con la alegría de saber que, mientras buscamos al Señor, es Él quien viene primero a nuestro encuentro con su amor.

[01385-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Um homem rico foi ao encontro de Jesus, «quando [Este] Se punha a caminho» (Mc 10, 17). Os Evangelhos apresentam-nos muitas vezes Jesus «a caminho», fazendo-Se companheiro do homem no seu caminho e ouvindo os interrogativos que habitam e inquietam o seu coração. Assim se revela que Deus não habita em lugares asséticos, em lugares pacatos, distantes da realidade, mas caminha connosco e vem encontrar-nos onde estamos, nas estradas por vezes acidentadas da vida. E hoje, ao abrir este percurso sinodal, comecemos todos (Papa, bispos, sacerdotes, religiosas e religiosos, irmãs e irmãos leigos) por nos interrogar: nós, comunidade cristã, encarnamos o estilo de Deus, que caminha na história e partilha as vicissitudes da humanidade? Estamos prontos para a aventura do caminho ou, temerosos face ao desconhecido, preferimos refugiar-nos nas desculpas «não adianta» ou «sempre se fez assim»?

Fazer Sínodo significa caminhar pela mesma estrada, caminhar em conjunto. Fixemos Jesus, que na estrada primeiro encontra o homem rico, depois escuta as suas perguntas e, por fim, ajuda-o a discernir o que fazer para ter a vida eterna. Encontrar, escutar, discernir: três verbos do Sínodo, nos quais me quero deter.

Encontrar. O Evangelho começa, narrando um encontro. Um homem vai ao encontro de Jesus e ajoelha-se diante d’Ele, colocando-Lhe uma pergunta decisiva: «Bom Mestre, que devo fazer para alcançar a vida eterna?» (Mc 10, 17). Uma questão tão importante exige atenção, tempo, disponibilidade para encontrar o outro e deixar-se interpelar pela sua inquietação. De facto, o Senhor não fica indiferente, nem Se mostra aborrecido ou incomodado; pelo contrário, detém-Se com ele. Está disponível para o encontro. Nada O deixa indiferente, tudo O apaixona. Fixar os rostos, cruzar os olhares, partilhar a história de cada um: tal é a proximidade de Jesus. Ele sabe que um encontro pode mudar a vida. E o Evangelho está constelado de encontros com Cristo que reanimam e curam. Jesus não tinha pressa, não olhava o relógio para terminar depressa o encontro. Estava sempre ao serviço da pessoa que encontrava, para a escutar.

Também nós, que iniciamos este caminho, somos chamados a tornar-nos peritos na arte do encontro; peritos, não na organização de eventos ou na proposta duma reflexão teórica sobre os problemas, mas, antes de mais nada, na reserva dum tempo para encontrar o Senhor e favorecer o encontro entre nós: um tempo para dar espaço à oração, à adoração – uma oração que tanto transcuramos: adorar, dar espaço à adoração –, àquilo que o Espírito quer dizer à Igreja; para fixar-se no rosto e na palavra do outro, encontrar-nos face a face, deixar-se tocar pelas perguntas das irmãs e dos irmãos, ajudar-nos a fim de que a diversidade de carismas, vocações e ministérios nos enriqueça. Como sabemos, cada encontro exige abertura, coragem, disponibilidade para se deixar interpelar pelo rosto e a história do outro. Enquanto às vezes preferimos refugiar-nos em relações formais ou usar máscaras de ocasião – o espírito clerical e de corte: são mais Senhor Abade que padre –, o encontro muda-nos e muitas vezes sugere-nos novos caminhos que não pensávamos percorrer. Hoje, depois do Angelus, receberei um bom grupo de pessoas sem eira nem beira; juntam-se simplesmente, porque há um grupo de pessoas que as vão escutar, unicamente ouvi-las. E, partindo da escuta, conseguiram começar a caminhar. A escuta. Com frequência é assim precisamente que Deus nos indica os caminhos a seguir, fazendo-nos sair dos nossos hábitos cansados. Muda tudo, quando somos capazes de encontros verdadeiros com Ele e entre nós... sem formalismos, nem fingimentos, nem maquilhagem.

Segundo verbo: escutar. Um verdadeiro encontro só pode nascer da escuta. De facto, Jesus coloca-Se à escuta da pergunta daquele homem e da sua inquietação religiosa e existencial. Não dá uma resposta de rotina, não oferece uma solução pré-fabricada, nem finge responder com amabilidade apenas para Se livrar dele e prosseguir o seu caminho. Simplesmente o escuta. Escuta-o todo o tempo que for preciso, sem pressa. E – a coisa mais importante – Jesus não tem medo de o escutar com o coração; não Se contenta de o fazer apenas com os ouvidos. Com efeito, a sua resposta não se limita a retorquir à pergunta, mas permite ao homem rico contar a sua história, falar livremente de si mesmo. Cristo lembra-lhe os mandamentos, e ele começa a falar da sua infância, a partilhar o seu percurso religioso, o modo como se esforçou por procurar a Deus. Quando ouvimos com o coração, o outro sente-se acolhido, não julgado, livre para contar a sua vivência e o próprio caminho espiritual.

Interroguemo-nos, com sinceridade, neste itinerário sinodal: Como estamos quanto à escuta? Como está «o ouvido» do nosso coração? Permitimos que as pessoas se expressem, caminhem na fé mesmo se têm percursos de vida difíceis, contribuam para a vida da comunidade sem ser estorvadas, rejeitadas ou julgadas? Fazer Sínodo é colocar-se no mesmo caminho do Verbo feito homem: é seguir as suas pisadas, escutando a sua Palavra juntamente com as palavras dos outros. É descobrir, maravilhados, que o Espírito Santo sopra de modo sempre surpreendente para sugerir percursos e linguagens novos. Aprender a ouvir-nos uns aos outros – bispos, padres, religiosos e leigos; todos, todos os batizados – é um exercício lento, talvez cansativo, evitando respostas artificiais e superficiais, respostas pronto-a-vestir… essas não! O Espírito pede para nos colocarmos à escuta das perguntas, preocupações, esperanças de cada Igreja, de cada povo e nação; e também à escuta do mundo, dos desafios e das mudanças que o mesmo nos coloca. Não insonorizemos o coração, não nos blindemos nas nossas certezas. Muitas vezes as certezas fecham-nos em nós mesmos. Escutemo-nos.

Por fim, discernir. O encontro e a escuta recíproca não são um fim em si mesmos, deixando as coisas como estão. Pelo contrário, quando entramos em diálogo, pomo-nos em questão, pomo-nos a caminho e, no fim, já não somos os mesmos de antes, mudamos. Assim no-lo mostra o Evangelho de hoje. Jesus intui que o homem à sua frente é bom, religioso e pratica os mandamentos, mas quer conduzi-lo para além da simples observância dos preceitos. No diálogo, ajuda-o a discernir. Propõe-lhe olhar dentro de si próprio, à luz do amor com que Ele mesmo – ao fixá-lo – o ama (cf. Mc 10, 21), e, nesta luz, discernir a que é que está verdadeiramente apegado o seu coração; para depois descobrir que o seu bem não passa por aumentar o número de atos religiosos, mas, ao invés, esvaziar-se de si mesmo: vender aquilo que preenche o seu coração, para dar espaço a Deus.

Trata-se duma indicação preciosa também para nós. O Sínodo é um caminho de discernimento espiritual, de discernimento eclesial, que se faz na adoração, na oração, em contacto com a Palavra de Deus. E a segunda Leitura de hoje diz-nos precisamente que a Palavra de Deus «é viva, eficaz e mais afiada que uma espada de dois gumes; penetra até à divisão da alma e do corpo, das articulações e das medulas, e discerne os sentimentos e intenções do coração» (Heb 4, 12). A Palavra abre-nos ao discernimento e ilumina-o. Guia o Sínodo, para que não seja uma «convenção» eclesial, um convénio de estudos ou um congresso político, para que não seja um parlamento, mas um evento de graça, um processo de cura conduzido pelo Espírito. Nestes dias, Jesus chama-nos – como fez com o homem rico do Evangelho – a esvaziar-nos, a libertar-nos daquilo que é mundano e também dos nossos fechamentos e dos nossos modelos pastorais repetitivos, a interrogar-nos sobre aquilo que Deus nos quer dizer neste tempo e sobre a direção para onde Ele nos quer conduzir.

Queridos irmãos e irmãs, bom caminho em conjunto! Sejamos peregrinos enamorados do Evangelho, abertos às surpresas do Espírito Santo. Não percamos as ocasiões de graça do encontro, da escuta recíproca, do discernimento. Com a alegria de saber que, enquanto procuramos o Senhor, é Ele quem primeiro vem ao nosso encontro com o seu amor.

[01385-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Pewien człowiek, bogacz, idzie na spotkanie z Jezusem, w chwili gdy „wybierał się On w drogę” (Mk 10, 17). Wiele razy Ewangelie przedstawiają nam Jezusa „w drodze”, gdy towarzyszy idącemu człowiekowi i słucha pytań, jakie nurtują i niepokoją jego serce. W ten sposób objawia nam, że Bóg nie mieszka w miejscach jałowych, w miejscach spokojnych, z dala od rzeczywistości, ale idzie z nami i dołącza do nas, gdziekolwiek jesteśmy, na wyboistych niekiedy drogach życia. I dziś, gdy rozpoczynamy drogę synodalną, zadajemy sobie wszyscy - papież, biskupi, kapłani, osoby konsekrowane, bracia i siostry świeccy - pytanie: czy my, wspólnota chrześcijańska, ucieleśniamy styl Boga, który kroczy przez dzieje i uczestniczy w wydarzeniach ludzkości? Czy jesteśmy gotowi podjąć przygodę podróży, czy też, bojąc się nieznanego, wolimy schronić się w wymówkach typu „nie potrzeba” i „zawsze robiliśmy to w ten sposób”?

Odbywanie Synodu oznacza wspólne podążanie tą samą drogą, wspólne wędrowanie. Spójrzmy na Jezusa, który na drodze najpierw spotyka bogacza, potem słucha jego pytań, a w końcu pomaga mu rozeznać, co ma czynić, aby mieć życie wieczne. Spotkać, słuchać, rozeznawać: są to trzy czasowniki Synodu, na których chciałbym się skupić.

Spotkać. Ewangelia rozpoczyna się opisem spotkania. Pewien człowiek idzie na spotkanie Jezusa i klęka przed Nim, zadając Mu decydujące pytanie: „Nauczycielu dobry, co mam czynić, aby osiągnąć życie wieczne?” (w. 17). Pytanie tak ważne wymaga uwagi, czasu, gotowości spotkania z drugim człowiekiem i pozwolenia, by jego niepokój stał się dla nas wyzwaniem. Istotnie, Pan nie jest obojętny, nie okazje poirytowania czy zaniepokojenia, wręcz przeciwnie, zatrzymuje się z nim. Jest gotów na spotkanie. Nic nie pozostawia Go obojętnym, wszystko go fascynuje. Spotkanie twarzy, wymiana spojrzeń, dzielenie się historią każdej osoby: tak wygląda bliskość Jezusa. On wie, że spotkanie może zmienić życie. A Ewangelia jest pełna spotkań z Chrystusem, które podnoszą na duchu i uzdrawiają. Jezus nie śpieszył się, nie patrzył na zegarek, aby szybko zakończyć spotkanie. Był zawsze do dyspozycji osoby, którą spotykał, aby jej słuchać.

Także i my, rozpoczynający tę drogę, jesteśmy wezwani, by stać się ekspertami w sztuce spotkania. Nie w organizowaniu wydarzeń, czy rozważań teoretycznych nad problemami, ale przede wszystkim w poświęcaniu czasu na spotkanie z Panem i promowaniu spotkań między sobą. Czasu, by uczynić przestrzeń dla modlitwy, adoracji – tej modlitwy, którą my bardzo zaniedbujemy: adorować, dać miejsce dla adoracji -, na to, co Duch chce powiedzieć Kościołowi; na zwrócenie się ku twarzy i słowu drugiego człowieka, na spotkanie twarzą w twarz, by dać się poruszyć pytaniami sióstr i braci, by pomagać sobie nawzajem, aby ubogacała nas różnorodność charyzmatów, powołań i posług. Każde spotkanie - jak wiemy - wymaga otwartości, odwagi, gotowości, by pozwolić sobie na wyzwanie, jakie stawia przed nami oblicze i historia drugiego człowieka. Podczas gdy czasami wolimy schronić się w relacjach formalnych, lub przywdziewać maski sytuacyjne – duch klerykalny i dworski: jestem bardziej monsieur l’abbé aniżeli ojcem -, spotkanie nas przemienia i często podpowiada nowe drogi, o których obraniu nie myśleliśmy. Dzisiaj po Anioł Pański przyjmę pokaźną grupę ludzi ulicy, którzy po prostu się zebrali, bo jest grupa ludzi, którzy chodzą ich słuchać, tylko po to, by ich słuchać. A od słuchania udało im się zacząć chodzić. Słuchanie. Często właśnie w ten sposób Bóg wskazuje nam drogi, którymi mamy podążać, wydobywając nas z naszych znużonych przyzwyczajeń. Wszystko się zmienia, gdy jesteśmy zdolni do prawdziwego spotkania z Nim i ze sobą nawzajem. Bez formalności, bez udawania, bez sztuczek.

Drugi czasownik: słuchać. Prawdziwe spotkanie rodzi się jedynie ze słuchania. Jezus rzeczywiście słucha pytania tego człowieka, jego niepokoju religijnego i egzystencjalnego. Nie daje zwyczajowej odpowiedzi, nie proponuje gotowego rozwiązania, nie udaje, że uprzejmie odpowiada, tylko po to, by się go pozbyć i iść dalej swoją drogą. Po prostu wysłuchuje go. Cały czas, jaki był potrzebny, bez pośpiechu. I – co najważniejsze – Jezus nie lęka się słuchać go sercem, a nie tylko uszami. Istotnie, Jego odpowiedź nie ogranicza się do dostrzeżenia pytania, ale pozwala bogaczowi opowiedzieć swoje dzieje, swobodnie mówić o sobie. Chrystus przypomina mu o przykazaniach, a on zaczyna opowiadać o swoim dzieciństwie, o swojej drodze religijnej, o tym, jak usiłował szukać Boga. Kiedy słuchamy sercem, to właśnie się dzieje: druga osoba czuje się mile widziana, nie osądzana, ma swobodę opowiadania o swoich doświadczeniach i drodze duchowej.

Zadajmy sobie pytanie, szczerze, podczas tej drogi synodalnej: jak my słuchamy? Jak wygląda „słuch” naszego serca? Czy pozwalamy ludziom wyrażać siebie, kroczyć w wierze, nawet jeśli mają trudne drogi życiowe, wnosić wkład w życie wspólnoty bez przeszkód, odrzucenia czy osądzania? Czynić Synod, to stanąć na tej samej drodze, co Słowo, które stało się człowiekiem: to iść Jego śladami, wsłuchując się w Jego Słowo wraz ze słowami innych. To odkrywanie ze zdumieniem, że Duch Święty wieje w sposób zawsze zaskakujący, aby podsunąć nowe drogi i języki. Jest to ćwiczenie powolne, być może męczące, żeby nauczyć się słuchać siebie nawzajem – biskupi, księża, zakonnicy i świeccy, wszyscy, wszyscy ochrzczeni – unikając sztucznych i powierzchownych odpowiedzi, odpowiedzi prêt-à-porter, nie. Duch Święty prosi nas, abyśmy wsłuchiwali się w pytania, niepokoje, nadzieje każdego Kościoła, każdego ludu i narodu. A także byśmy wsłuchiwali się w świat, w wyzwania i zmiany, jakie przed nami stawia. Nie uciszajmy naszych serc, nie blokujmy się w naszych pewnikach. Pewniki często zamykają nas. Posłuchajmy się nawzajem.

Wreszcie, rozeznać. Spotkanie i wysłuchanie siebie nawzajem nie są celem samym w sobie, pozostawiając rzeczy takimi, jakimi są. Przeciwnie, kiedy podejmujemy dialog, zadajemy sobie pytania, jesteśmy w drodze, a w końcu nie jesteśmy tacy sami, jak na początku, jesteśmy odmienieni. Pokazuje to nam dzisiaj Ewangelia. Jezus wyczuwa, że człowiek, który przed Nim stoi, jest dobry i religijny, zachowuje przykazania, ale chce go wyprowadzić dalej, poza zwyczajne przestrzeganie przykazań. W dialogu pomaga mu rozeznać. Proponuje, aby spojrzał w głąb siebie, w świetle miłości, z jaką On sam, wpatrując się w niego, miłuje go (por. w. 21), i aby w tym świetle rozeznał, do czego naprawdę przywiązane jest jego serce. I wtedy odkrywa, że jego dobro nie polega na dodawaniu kolejnych aktów religijnych, lecz przeciwnie, na ogołoceniu siebie samego: na sprzedaniu tego, co zajmuje jego serce, by uczynić miejsce dla Boga.

Jest to cenna wskazówka również dla nas. Synod jest procesem rozeznania duchowego, rozeznania kościelnego, którego dokonuje się na adoracji, w modlitwie, w kontakcie ze Słowem Bożym. A dzisiejsze drugie czytanie mówi nam, że Słowo Boże „jest żywe i skuteczne, ostrzejsze niż wszelki miecz obosieczny, przenikające aż do rozdzielenia duszy i ducha, […] zdolne osądzić pragnienia i myśli serca” (Hbr 4, 12). Słowo otwiera nas na rozeznanie i je oświetla. Ukierunkowuje ono Synod, aby nie był on kościelnym „zjazdem”, konferencją naukową czy kongresem politycznym, żeby nie był parlamentem, lecz wydarzeniem łaski, procesem uzdrowienia prowadzonym przez Ducha. W tych dniach Jezus wzywa nas, tak jak to uczynił z bogatym człowiekiem w Ewangelii, do ogołocenia się, do pozbycia się tego, co światowe, a także naszych zamknięć i powtarzających się wzorców duszpasterskich; do postawienia sobie pytania, co Bóg chce nam powiedzieć w tym czasie i w jakim kierunku chce nas poprowadzić.

Drodzy bracia i siostry, życzę nam dobrej wspólnej drogi! Obyśmy byli pielgrzymami zakochanymi w Ewangelii, otwartymi na niespodzianki Ducha Świętego. Nie przegapmy okazji łaski spotkania, słuchania siebie nawzajem, rozeznawania. Żyjmy radością wiedząc, że gdy szukamy Pana, to On pierwszy wychodzi nam na spotkanie ze swoją miłością.

[01385-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

في القدّاس الإلهيّ

في مناسبة افتتاح سينودس

من أجل كنيسة سينودُسيّة: شركة ومشاركة ورسالة

يوم الأحد 10 تشرين الأوّل/أكتوبر 2021

بازيليكا القدّيس بطرس

ذهب رجل غني للقاء يسوع بينما هو "خارِجٌ إِلى الطَّريق" (مرقس 10، 17). غالبًا ما تُقدّم لنا الأناجيل يسوع ”على الطريق“، يرافق مسيرة الإنسان ويصغي إلى الأسئلة التي تسكن قلبه وتثيره. هكذا بيّن لنا أنّ الله لا يسكن في أماكن معقَّمة وهادئة، بعيدًا عن الواقع، بل يسير معنا وينضم إلينا حيث نكون، وأحيانًا على طرق وعرة في الحياة. واليوم، مع افتتاح هذا السينودس، نبدأ بطرح أسئلة على أنفسنا جميعًا –البابا والأساقفة والكهنة والراهبات والرهبان والأخوات والإخوة العلمانيين-: نحن، الجماعة المسيحيّة، هل نعيش بحسب أسلوب الله، الذي يسير في التاريخ ويشارك في ظروف الإنسانيّة؟ هل نحن مستعدون لمغامرات الطريق أم أنّنا خائفون من المجهول؟ هل نفضّل أن نلجأ إلى الأعذار: ”لا فائدة من ذلك" أو ”كانت الأمور دائمًا هكذا“؟

عملُ السينودس يعني أن نسير معًا على نفس الطريق. لننظر إلى يسوع، الذي التقى أوّلًا بالرجل الغني على الطريق، ثم أصغى إلى أسئلته، وأخيرًا ساعده ليميّز ما يجب عمله للحصول على الحياة الأبدية. التقى، وأصغى، وميّز: ثلاثة أفعال في هذا السينودس التي أودّ أن أتوقّف عندها.

الفعل الأوّل: التقى. يبدأ الإنجيل ويتكلّم على لقاء. ذهب رجل للقاء يسوع فركع أمامه، وطرح عليه سؤالًا حاسمًا: "أيُّها المُعَلِّمُ الصَّالح، ماذا أَعمَلُ لأَرِثَ الحَياةَ الأَبَدِيَّة؟" (الآية 17). مثل هذا السؤال المهم يتطلب الانتباه والوقت والاستعداد للقاء الآخر ويتطلب المقدرة على أن نقبل أن يخاطبنا الآخر بقلقه. في الواقع، لم يكن الرّبّ يسوع غير مبال، ولم يُظهر أنّه منزعج أو في نفسه ضيق، بل توقّف معه. إنّه مستعدٌ للقاء. لا شيء يتركه غير مبال، كلّ شيء يهمّه. أن يلتقي الوجوه، وأن يحدّق في العيون، وأن يشارك في قصة كلّ واحد: هذا هو قرب يسوع. هو يَعلَم أنّ اللقاء يمكن أن يغيّر الحياة. والإنجيل مليء بلقاءات مع المسيح التي أعادت الحياة والشفاء. لم يكن يسوع في عجلة من أمره، ولم ينظر إلى ساعته لإنهاء اللقاء سريعًا. كان دائمًا في خدمة الإنسان الذي يلتقي فيه، للإصغاء إليه.

نحن أيضًا، الذين نبدأ المسيرة هذه، مدعوّون لنصير خبراء في فنّ اللقاء. ليس بتنظيم الأحداث أو بالتفكير النظري في المشاكل، بل قبل كلّ شيء بتخصيص الوقت للقاء الرّبّ يسوع وتشجيع اللقاء بيننا. لنجد الوقت من أجل إعطاء مساحة للصلاة وللسجود -هذه الصّلاة نتجاهلها كثيرًا: أن نسجد، وأن نعطي مساحة للسجود-، لِما يريد الرّوح أن يقوله للكنيسة، حتى نلتفت إلى وجه الآخر وكلامه، ونلتقي معه وجهًا لوجه، ونترك أنفسنا تتأثر بأسئلة الأخوات والإخوة، ونساعد بعضنا بعضًا حتى نغتني بتنوع المواهب والدعوات والخدمات. يتطلب كلّ اجتماع – كما نعلم - الانفتاح والشجاعة والاستعدّاد لأن نترك نفسنا تصغي إلى ما يقوله لنا وجه الأخر وإلى قصته. بينما نفضّل في بعض الأحيان أن نحتمي في علاقات رسمية أو أن نرتدي أقنعة للمناسبات، فإنّ اللقاء يغيّرنا وغالبًا ما يقترح علينا طرقًا جديدة لم نعتقد أنّنا سنسير فيها. اليوم، بعد صلاة التبشير الملائكي، سأستقبل مجموعة لطيفة من أشخاص يعيشون في الشوارع، الذين تجمّعوا ببساطة لأنّه يوجد مجموعة من الناس يذهبون للإصغاء إليهم، فقط للإصغاء إليهم. ومن الإصغاء تمكنّوا من بدء السير. الإصغاء. في كثير من الأحيان، بهذه الطريقة بالتحديد، يبيّن لنا الله الطرق التي يجب اتباعها، فنتخلّص من عاداتنا التَّعِبة. كلّ شيء يتغيّر عندما نكون قادرين على لقاءات حقيقية مع الله ومع بعضنا البعض. بدون شكليات وبدون مخادعات وبدون تنكّر.

الفعل الثاني: أصغى. اللقاء الحقيقي يأتي فقط من الإصغاء. في الواقع، أصغى يسوع إلى سؤال ذلك الرجل وإلى قلقه الديني والوجودي. لم يعط يسوع جوابًا مألوفًا، ولم يُقدّم حلًّا جاهزًا، ولم يتصنّع بأن يجيب بلطف فقط، للتخلّص منه ومتابعة طريقه. ببساطة أصغى إليه. طالما كان ذلك ضروريًا، فإنّه أصغى إليه وبدون عجلة. والأمر الأهم، لم يخف يسوع أن يصغي إليه بقلبه، وليس بأذنَيه فقط. في الواقع، لم يَحصر جوابه في السؤال، بل سمح للرجل الغني أن يروي قصته، ويتكلّم بحرية. ذكّره المسيح بالوصايا، فبدأ يتكلّم على طفولته، وشاركه في مسيرته الدينيّة، والطريقة التي سعى بها للبحث عن الله. عندما نصغي بالقلب، يحدث هذا: يشعر الآخر أنّنا نرحِّب به، وأنّنا لا نحكم عليه، وأنّه حرٌّ في أن يَروي ​​خبرته ومسيرته الرّوحيّة.

لنسأل أنفسنا، بصدق، في هذا السينودس: أين نحن من الإصغاء؟ كيف ”تصغي“ قلوبنا؟ هل نسمح للأشخاص بأن يعبّروا عن أنفسهم، وأن يسيروا في الإيمان، حتّى إذا كانوا يسيرون في مسارات حياة صعبة، وأن يساهموا في حياة الجماعة من دون إعاقتهم أو رفضهم أو الحكم عليهم؟ أن نسير في السينودس يعني أن نضع أنفسنا على طريق الكلمة (يسوع) نفسه الذي صار إنسانًا: وأن نتبع خطاه، وأن نصغي إلى كلمته وإلى كلام الآخرين. هو أن نكتشف باندهاش أنّ الرّوح القدس يهُبّ دائمًا بطريقة مفاجئة، ليقترح طرقًا ولغاتٍ جديدة. هو تدريب بطيء، وربّما متعب، حتّى نتعلّم الإصغاء بعضُنا لبعض - الأساقفةُ والكهنةُ والرّهبانُ والعلمانيون، الجميع، جميع المعمدين – ونتجنّب الإجابات المصطنعة والسطحيّة والإجابات الجاهزة بلا. يطلب الرّوح القدس منا أن نصغي إلى أسئلة وهموم وآمال كلّ كنيسة وكلّ شعب وأمّة. وأن نصغي أيضًا إلى العالم والتحدّيات والتغييرات التي يضعنا أمامها. لا نعزل صوت القلب، ولا ”نصفِّح“ أنفسنا خلف ما جعلناه يقينًا لنا وحقيقة. غالبًا ما يغلقنا اليقين على أنفسنا. لنصغِ بعضنا لبعض.

أخيرًا، الفعل ميّز. اللقاء والإصغاء المتبادل ليسا غاية في حدّ ذاتهما، فهما يتركان الأشياء على حالها. عكس ذلك، عندما ندخل في حوار، فإنّنا نعيد النظر في أنفسنا في الجدال، ونبدأ مسيرة، وفي النّهاية لسنا كما كنّا في السّابق، لقد تغيّرنا. يُبين لنا الإنجيل اليوم ذلك. شعر يسوع أنّ الرجل الذي أمامه كان صالحًا ومتديّنًا ويعيش بحسب الوصايا، لكنّه أراد أن يقوده إلى أكثر من المحافظة البسيطة للوصايا. ساعده في الحوار كي يميّز. اقترح عليه أن ينظر في داخله، بإضاءة المحبّة التي أحبّه بها، عندما حدّق إليه (راجع الآية 21)، وأن يميّز بذلك النور فيعرف بماذا يتعلّق قلبه حقًا. بعد ذلك، اكتشف أنّ صلاحه لم يكن في إضافة أعمالٍ دينيّة أخرى، بل على العكس، في إفراغ نفسه: أي أن يبيع ما كان يُشغل قلبه لإفساح المجال لله.

إنّه مؤشّر قيّم بالنّسبة لنا أيضًا. السّينودس هو مسيرة تمييز روحيّ وتمييز كنسيّ، تتمّ في السجود والصّلاة والصّلة مع كلمة الله. وتقول لنا القراءة الثانية بالتّحديد اليوم إنّ كلام الله "حَيٌّ ناجِع، أَمْضى مِن كُلِّ سَيفٍ ذي حَدَّين، يَنفُذُ إِلى ما بَينَ النَّفْسِ والرُّوحِ، وما بَينَ الأَوصالِ والمِخاخ، وبِوُسْعِه أَن يَحكُمَ على خَواطِرِ القَلْبِ وأَفكارِه" (عبرانيّين 4، 12). كلمة الله تجعلنا قادرين على التّمييز، وتنيره. وهي التي توجّه السينودس حتّى لا يكون ”مؤتمرًا“ كنسيًا، أو مؤتمرًا دراسيًّا أو مؤتمرًا سياسيًّا، لأنّه ليس برلمانًا، بل حدث نعمة، وعمليّة شفاء يقودها الرّوح. يدعونا يسوع في هذه الأيّام، كما فعل مع الرّجل الغنيّ في الإنجيل، إلى أن نفرّغ أنفسنا، وأن نحرّر أنفسنا ممّا هو أرضي، وأيضًا من انغلاقاتنا ومن أطر عملنا الرعويّ المتكرّرة، فنسأل أنفسنا: ماذا يريد الله أن يقول لنا في هذا الوقت، وفي أيّ اتّجاه يريد أن يقودنا.

أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، أتمنّى لكم مسيرة معًا جيّدة! وأن نكون حجّاجًا مغرمين بالإنجيل، ومنفتحين على مفاجآت الرّوح القدس. لا نضيّع فُرَصَ نعمة اللقاء والإصغاء المتبادل والتّمييز. وليملأنا الفرح لأنّنا نعرف أنّنا بينما نبحث نحن عن الرّبّ يسوع، فإنّه هو الذي يأتي بمحبته للقائنا أولًا.

[01385-AR.02] [Testo originale: Arabo]

 

[B0652-XX.02]