L’intervento di Mons. Erio Castellucci

31 Marzo 2025
Pubblichiamo l’intervento di Mons. Erio Castellucci, Presidente del Comitato Nazionale del Cammino sinodale, alla Seconda Assemblea sinodale delle Chiese in Italia.
Grazie a tutti. Grazie a Lucia, che con la sua narrazione ci ha rammentato i frutti del Cammino sinodale già maturati: l’attiva presenza di innumerevoli germogli evangelici nelle nostre comunità cristiane e civili, pur tra tante crisi e solitudini; l’esperienza dell’ascolto reciproco che, specialmente attraverso la “conversazione nello Spirito”, chiede insistentemente di diventare stile permanente dei nostri incontri; la sorpresa di trovare dei mondi, prima ritenuti indifferenti e ostili, disponibili al dialogo e al confronto, secondo la metodologia dei Cantieri sinodali; l’attivazione o riattivazione di alcuni Organismi di partecipazione nelle Diocesi, parrocchie e associazioni, nei gruppi e movimenti; il desiderio diffuso di essere Chiesa missionaria nel mondo contemporaneo, senza tanti lamenti e nostalgie.
Nessuno nega difficoltà, ritardi, arroccamenti, delusioni, peccati e abusi. Semplicemente diciamo – e dopo questi cinque anni constatiamo – che la nostra Chiesa è viva: certo in forme diverse rispetto al passato anche recente, ma è comunque viva, non sta vegetando, non si trova in uno stadio terminale; semplicemente sta cercando di ascoltare la voce dello Spirito, che reclama modalità di presenza e azione rinnovate. Né facili entusiasmi che preconizzino una nuova primavera della Chiesa, né facili scoraggiamenti che annuncino un declino inevitabile. Chi ha preso parte, in qualsiasi modo, al Cammino sinodale, adotta piuttosto un sano realismo, a partire da un dato di fede: lo Spirito del Signore Risorto non si è ritirato a vita privata, ma continua a soffiare nella vita normale delle nostre comunità. Lo Spirito continua a produrre il frutto, la carità, che San Paolo esprime in tutte le sue sfumature: gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (cf. Gal 5,22). Questa quotidiana trama di bene, che sfugge alle statistiche, è anche la ricchezza più grande – e spesso nascosta – rilevata nei cinque anni sinodali.
Quando avviammo questo Cammino insieme al Sinodo della Chiesa universale, ci ponemmo come obiettivo principale non un nuovo libro ma un nuovo stile; il libro, pur necessario, è funzionale a fissare, mantenere e verificare lo stile. Di libri ormai ne abbiamo collezionati parecchi, e tutti molto ricchi. Evito l’elenco completo, limitandomi agli ultimi due: i Lineamenti entrati nella Prima Assemblea Sinodale del novembre scorso a San Paolo fuori le Mura e lo Strumento di lavoro, con le sue articolate schede, uscito da quell’Assemblea e consegnato alle Chiese locali in vista di questa. Il libro con cui entriamo nella Seconda Assemblea, le Proposizioni, era stato pensato nel Regolamento, approvato e diffuso un anno fa, come un documento da consegnare ai Vescovi per la versione finale, che terrà conto dell’intero Cammino sinodale, alla luce delle scelte operate nei prossimi giorni: scelte che assumeranno un peso proporzionale al consenso che otterranno. Nel frattempo, sono stati approvati i testi del XVI Sinodo dei Vescovi sulla Chiesa sinodale, specialmente il Documento finale dell’ottobre 2024, ed è stata annunciata una Assemblea ecclesiale, per la verifica della sua attuazione, nell’autunno del 2028, insieme ad una tempistica che prevede il coinvolgimento di tutte le Diocesi e che scandirà anche per le nostre Chiese in Italia la recezione dei percorsi sinodali (cf. Lettera del Card. Mario Grech sul processo di accompagnamento della fase attuativa del Sinodo, 15 marzo 2025). I documenti del Sinodo generale continuano così ad intrecciarsi con il nostro Cammino, lo ispirano e ne orientano le scelte.
Il libro delle Proposizioni, che abbiamo ora in mano, è un documento “di passaggio” verso il testo finale, che uscirà dalla prossima Assemblea della CEI di fine maggio. È importante comprendere bene il senso delle Proposizioni, perché un equivoco sul genere letterario rischierebbe di falsare il lavoro. Sono, appunto, “proposte”: non la raccolta di tutto quanto emerso nel percorso, che rimane a disposizione sia delle singole Chiese sia dei Vescovi, chiamati a dare forma definitiva alle decisioni sinodali. Se questo testo pretendesse di raccogliere tutto, davvero si potrebbe dire che “la montagna ha partorito il topolino”. Ma sarebbe una svista dannosa, perché la gravidanza è ancora in corso. Il carattere volutamente sintetico (per alcuni magari troppo) da una parte favorisce la chiarezza e la concentrazione su punti precisi – ad ogni proposizione corrisponde un’idea sostanziale – e dall’altra facilita l’inserimento di integrazioni e correzioni mirate. Il documento, del resto, è introdotto da una riflessione che recupera le motivazioni del Cammino svolto, e le tre sezioni del testo sono a loro volte introdotte da altrettante parti (in corsivo) che collegano le Proposizioni all’intero percorso sinodale: e non vanno mai disgiunte dal loro contesto, come se fossero sezioni a sé stanti. Le priorità, nel nostro Cammino, sono state individuate già alla fine del primo anno della fase narrativa e sono state continuamente ribadite: l’orizzonte complessivo e ispiratore è la missione nello stile della prossimità, che diventa appello alla conversione personale e comunitaria, attraverso la formazione e la corresponsabilità. Questi sono i nuclei generativi dai quali e per i quali sono nate le proposte radunate sinteticamente nel documento. Si è dunque cercato di evitare la tentazione di stilare un semplice elenco di “cose da fare” o di auspici, che sarebbe pesante anche alla sola lettura e forse perfino irritante. Occorre piuttosto mantenere l’intento di agganciare ogni singola proposta a questi nuclei generativi. Non siamo qui per piantare delle bandierine sulle singole affermazioni, cercando a tutti i costi di inserire la parola o la frase che ci identifica come singoli o come gruppi; siamo qui per aiutare le Chiese in Italia ad essere – come ci chiese Papa Francesco al Convegno di Firenze – comunità umili, disinteressate e beate. L’intento è che ciascuno di noi offra al discernimento comune il proprio apporto tenendo conto dell’intero, avendo cioè a cuore la Chiesa e non solo le proprie idee. Discutere, quindi, confrontarsi anche su posizioni molto diverse, proporre e votare: ma con il cuore rivolto al tutto, con quel “sensus Ecclesiae” che è espressione matura del “sensus fidei”.
Le singole Proposizioni, quindi assomigliano a dei ponti più che a degli orti: ben lontane dalla pretesa di esaurire un argomento e di essere dei trattatelli, intendono favorire il passaggio all’ultima tappa del discernimento, affidata ai Vescovi, che daranno alle Proposizioni tutto il valore che sarà ad esse riconosciuto in questa Assemblea e, attraverso di esse, recupereranno la ricchezza dei testi precedenti e del Sinodo universale. La fase profetica, di cui stiamo vivendo una tappa significativa, anziché condensare le altre due – narrativa e sapienziale – intende recuperarle; tenendo presente che la profezia nella Chiesa non si incarna solo sui carismi dei singoli profeti, che pure lo Spirito non fa mancare, ma domanda di essere condivisa, perché possiamo essere un “popolo profetico”. Il Concilio Vaticano II, di cui celebreremo a fine anno il sessantesimo anniversario della chiusura, nel denso testo di Lumen Gentium 12 così parlava della profezia: «Il popolo santo di Dio partecipa pure dell’ufficio profetico di Cristo diffondendo dovunque la viva testimonianza di lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità, e con l’offrire a Dio un sacrificio di lode, cioè frutto di labbra acclamanti al nome suo (cfr. Eb 13,15)».
Anche la profezia, dunque, richiede sinodalità. Papa Francesco ci sta offrendo fin dall’inizio del suo ministero una singolare testimonianza di unità tra carisma profetico e ministero istituzionale, rappresentando entrambe le dimensioni nella concreta forma del servizio petrino da lui scelta e vissuta. Così dimostra una volta di più che non ha senso la contrapposizione tra ministero e carisma, tra profezia e istituzione. Certo, nella pratica l’istituzione rischia di fatto la sclerosi se non si imbeve di profezia e questa rischia di fatto l’anarchia se si sottrae alla comunione istituzionale. Ma di principio sono due dimensioni che si richiedono vicendevolmente. Nessuno di noi, quindi, deve temere che gli altri vogliano ridurre la profezia o, al contrario, scardinare l’istituzione. La Chiesa nella sua interezza, come Popolo di Dio pellegrino nella storia, incarna entrambe le dimensioni.
Azzarderei qualcosa in più, pensando ancora alla testimonianza di Papa Francesco, che ci appare ancora più grande in queste settimane di sofferenza così intensa per lui. La vera profezia, oggi, è la scelta di affermare nella vita e nelle parole il Vangelo integrale, mostrando che “tutto è connesso”: che la persona umana va custodita sia nella sua dignità individuale, inviolabile e indisponibile, che la rende soggetto di diritti, sia nella sua vocazione relazionale, che le assegna dei doveri nei confronti della società; che proprio questa dignità ci porta a rispettare allo stesso modo la vita nascente e morente, come la vita degli indigenti e dei migranti; che la cura della pace e del creato vive della stessa logica della cura della famiglia e dell’educazione. Papa Francesco ribadisce con la stessa forza queste semplici verità evangeliche, solitamente invece divise nel dibattito culturale e politico. Sarà importante che, esaminando le Proposizioni, abbiamo davanti agli occhi questa visione antropologica e sociale integrale – che rispecchia una teologia integrale – ed evitiamo di identificare la profezia con una parte sola di queste dimensioni. Un lavoro culturale rinnovato, come auspicato tra l’altro nei Lineamenti e nello Strumento di lavoro, dovrà unire questi elementi, evitare le polarizzazioni, rilevare nella prassi – e di esperienze virtuose ne sono emerse moltissime in questi anni – come davvero «tutto è connesso». Anche così siamo portatori di una cultura di pace.
La nostra Assemblea si svolge nel cuore dell’Anno giubilare e nel cuore dei luoghi giubilari: Roma, San Pietro, a due passi dalla Tomba dell’Apostolo e dai suoi successori. È un dono grande, irripetibile almeno in tempi brevi. Un dono che invita a leggere il nostro Cammino sinodale come pellegrinaggio di speranza. Papa Francesco ha scelto questo motto per l’attuale Giubileo, «pellegrini di speranza», in una fase di riscoperta della sinodalità ecclesiale. Non ha scelto, ad esempio, “fari di speranza”, come se noi, già arrivati alla meta, fossimo semplicemente chiamati a irradiare sugli altri le ragioni della nostra speranza. No: ci ha collocati una volta di più sul tragitto, in cammino con tutti gli altri: non però come vagabondi o fuggiaschi, come se non avessimo nulla da dire e da dare, ma appunto come “pellegrini”, che si affiancano a tutti, testimoniando la fatica di camminare verso la meta. Questo solo, con la forza dello Spirito, possiamo offrire alle sorelle e ai fratelli che percorrono gli stessi sentieri: la condivisione delle fatiche e delle gioie, l’accoglienza di ciascuno a partire dal punto in cui si trova, la disponibilità a fare strada insieme, lasciandosi provocare dagli altri e provocandoli, a nostra volta, a scoprire la meta comune: Cristo risorto, che ha inaugurato il Regno di Dio.