75ª Assemblea Generale Straordinaria: l’Introduzione del Card. Gualtiero Bassetti

75ª Assemblea Generale Straordinaria: l’Introduzione del Card. Gualtiero Bassetti

23 Novembre 2021

Pubblichiamo il testo dell’Introduzione del Cardinale Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e Presidente della CEI, in apertura dei lavori della seconda giornata della 75ª Assemblea Generale Straordinaria che vede riuniti a Roma, fino a giovedì 25 novembre, oltre 210 Vescovi italiani. 

 

Venerati e cari Confratelli,
mi sento di interpretare i sentimenti di tutti, dicendo che con vivo piacere torniamo a incontrarci una seconda volta nel corso di questo 2021. Dopo l’interruzione dovuta alla pandemia da COVID-19 nel 2020, abbiamo come sentito il bisogno di serrare i ranghi per accrescere quella sintonia tra di noi e quella unità di intenti, che ci devono contraddistinguere come Chiesa in Italia. Stare nuovamente insieme in presenza ci rallegra e ci consente di raccogliere con nuova lena le sfide che ci riserva l’attuale fase dell’umanità.
Ma c’è di più. Ormai in tutte le nostre Chiese locali è stato avviato ufficialmente il Cammino sinodale. Ci ritroviamo quindi per ribadire la nostra volontà di procedere insieme, all’unisono anzitutto tra di noi e poi in armonia con il contesto più ampio del Sinodo della Chiesa universale. Il cattolicesimo in Italia – lo dicevo anche nell’Assemblea di maggio – può vantare una sua storia unica: questo è il tempo in cui, come non mai, possiamo verificare e rilanciare la vita delle Chiese che sono in Italia, allargando lo sguardo a quella Chiesa universale, i cui confini sono gli angoli estremi della terra (cf Mt 28,19).
Questo atteggiamento di attenzione al particolare con un cuore aperto all’universale ci è richiesto e ci è garantito dal legame unico con il Santo Padre. In lui riconosciamo il Vescovo di Roma e il successore di Pietro, colui che ha ricevuto da Cristo il compito di «confermare i suoi fratelli» (Lc 22,32). A lui va il nostro affetto e il nostro ringraziamento. Come sempre Papa Francesco ci ha rivolto parole importanti, che ci spronano a cogliere le occasioni di grazia che questo tempo ci offre.
Inoltre, gli siamo particolarmente grati per la sua presenza all’incontro con i Vescovi del Mediterraneo, che si terrà a Firenze dal 23 al 27 febbraio 2022. Il Papa testimonia così la sua premura e attenzione a un’iniziativa importante, perché coinvolgerà le comunità civili ed ecclesiali del Mediterraneo. Si tratta di un altro tassello nella costruzione di una “cultura comunitaria”.

Impegni dopo la Settimana Sociale di Taranto
1. Proprio un mese fa abbiamo vissuto la 49a Settimana Sociale a Taranto, prima tappa nazionale del Cammino sinodale che abbiamo avviato con l’Assemblea Generale di maggio. Mi sembra particolarmente significativo che un terzo dei delegati presenti fosse composto da giovani.
Ci siamo concentrati sul tema: «Il pianeta che speriamo». Lo sappiamo: il pianeta è malato, perché sono malate le relazioni tra di noi. Abbiamo perso il gusto delle piccole cose, di sognare assieme un mondo diverso, di ripensare i nostri stili di vita improntati al consumismo, di scrivere pagine di cura e di attenzione reciproca. Abbiamo tradito il mandato divino di «coltivare e custodire» la creazione (Gen 2,15). La presenza stessa di tanti giovani, però, ci fa dire che questa situazione non è irreversibile.
Il pianeta che speriamo esige che ciascuno si prenda cura di questa speranza. Per molti giovani è andata affievolendosi proprio la speranza. Ogni anno in Italia in migliaia fanno le valigie per cercare fortuna altrove. Molti stentano a trovare lavoro qui oppure sono demotivati a tal punto da rinunciare a cercare un’occupazione o a studiare per raggiungerla. Non possiamo assistere a una situazione sociale e ambientale che rischia di tarpare le ali ai nostri ragazzi e di impoverire molti territori, destinati a spegnersi senza un ricambio generazionale!
L’auspicio è che i temi affrontati a Taranto siano oggetto di approfondimento e diventino occasione per fare scelte concrete anche a livello ecclesiale; possano essere, allo stesso tempo, una speranza per alcuni territori dell’Italia, particolarmente provati.

Accanto ai più deboli
2. Purtroppo continuiamo ad assistere a soprusi e abusi nei confronti della persona umana. Su questo punto, come su tutti i punti della nostra fede, la Parola di Dio ci ispira: per noi la persona umana è creatura di Dio, preziosa, unica e irripetibile. Ma c’è di più, il Dio della Scrittura si erge a difensore delle creature più deboli e fragili.
Su questo sfondo non possiamo non rilevare fatti di cronaca che mostrano scenari drammatici che non è possibile ignorare.
In comunione con il Papa, abbiamo richiamato nelle scorse settimane la situazione della Libia. Penso ora a quanto sta avvenendo nei confronti dei migranti al confine tra Polonia e Bielorussia, e a quelli che dalle coste del Magreb si avventurano nel Mediterraneo… Sono vicende che non appartengono alla cultura europea generata dal Vangelo.
Penso poi – e in modo particolare in queste giornate – alle difficoltà causate ancora dalla pandemia. Le notizie che giungono dai Paesi vicini sono tutt’altro che confortanti. Di fronte all’aumento dei contagi, che registriamo anche in Italia, serve un surplus di responsabilità da parte di tutti: proprio adesso è necessario fare quello sforzo ulteriore che ci aiuterà a superare il secondo inverno difficile nel nostro Paese e in tutto il mondo. La divisione in fronti contrapposti indebolisce sia la tenuta della società sia il cordone sanitario che ci ha permesso di salvaguardare i più fragili e di contenere significativamente il numero delle vittime.
Guardiamo ai più piccoli che non possono godere della socialità a scuola o della libertà nel gioco comunitario; pensiamo agli anziani, spesso costretti a un maggiore isolamento e alla piaga della solitudine; siamo vicini a chi provvede con fatica al sostentamento della propria famiglia. Sono le stesse preoccupazioni espresse più volte dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, cui va la nostra gratitudine per il servizio reso al Paese in questi sette anni.
Tra i più fragili, penso infine alle persone che sono state vittime di abusi fisici e psicologici, anche nei nostri ambienti. Sono persone segnate da ferite che richiedono molto tempo e fatica per guarire. La Giornata di preghiera per le vittime e i sopravvissuti agli abusi, istituita dal Consiglio Episcopale Permanente, che abbiamo celebrato pochi giorni fa, è un ulteriore segno concreto dell’attenzione e della vicinanza della nostra Chiesa: noi siamo accanto ai più deboli!

A servizio delle Chiese
3. Cari Confratelli, salutiamo con affetto il Nunzio Apostolico in Italia, Mons. Emil Paul Tscherrig, presente come sempre alla nostra Assemblea, e lo ringraziamo di cuore per le parole che vorrà rivolgerci. Inviamo anche un saluto sincero ai Vescovi delle Conferenze Episcopali d’Europa che purtroppo, per via delle restrizioni ancora in atto, non possono essere presenti come in passato.

Condivido con voi il ricordo e la preghiera per i nostri fratelli Vescovi deceduti in questi mesi. Ecco i loro nomi:
S.E.R. Mons. Giacomo Babini, Vescovo emerito di Grosseto;
S.E.R. Mons. Antonio Cantisani, Arcivescovo emerito di Catanzaro – Squillace;
S.E.R. Mons. Luigi Conti, Arcivescovo emerito di Fermo;
S.E.R. Mons. Sebastiano Dho, Vescovo emerito di Alba;
S.E.R. Mons. Franco Festorazzi, Arcivescovo emerito di Ancona – Osimo;
S.E.R. Mons. Tarcisio Pillolla, Vescovo emerito di Iglesias.

Rivolgiamo uno speciale pensiero ai Confratelli che hanno lasciato, in questi mesi, la guida delle loro Diocesi. Sono:
S.E.R. Mons. Gennaro Acampa, Vescovo già ausiliare di Napoli;
S.E.R. Mons. Vincenzo Bertolone, Arcivescovo emerito di Catanzaro – Squillace;
S.E.R. Mons. Rodolfo Cetoloni, Vescovo emerito di Grosseto;
S.E.R. Mons. Lucio Lemmo, Vescovo già ausiliare di Napoli;
S.E.R. Mons. Giuseppe Piemontese, Vescovo emerito e Amministratore Apostolico di Terni – Narni – Amelia;
S.E.R. Mons. Luigi Renzo, Vescovo emerito di Mileto – Nicotera – Tropea;
S.E.R. Mons. Pietro Santoro, Vescovo emerito di Avezzano;
S.E.R. Mons. Adriano Tessarollo, Vescovo emerito e Amministratore Apostolico di Chioggia;
S.E.R. Mons. Vittorio Francesco Viola, Arcivescovo-Vescovo emerito di Tortona.

Accogliamo con gioia i nuovi Vescovi entrati, nella nostra Conferenza. Chiediamo al Signore di benedire e rendere fecondo il loro ministero e confidiamo nelle loro fresche energie per dare slancio al nostro comune servizio. Li salutiamo uno ad uno:
S.E.R. Mons. Michele Autuoro, Vescovo ausiliare di Napoli;
S.E.R. Mons. Francesco Beneduce, Vescovo ausiliare di Napoli;
S.E.R. Mons. Gaetano Castello, Vescovo ausiliare di Napoli;
S.E.R. Mons. Antonio D’Angelo, Vescovo ausiliare di L’Aquila;
S.E. Mons. Giampaolo Dianin, Vescovo eletto di Chioggia;
S.E.R. Mons. Guido Marini, Vescovo di Tortona;
S.E.R. Mons. Giovanni Massaro, Vescovo di Avezzano;
S.E.R. Mons. Attilio Nostro, Vescovo di Mileto – Nicotera – Tropea;
S.E. Mons. Francesco Antonio Soddu, Vescovo eletto di Terni – Narni – Amelia;
S.E.R. Mons. Carlo Villano, Vescovo ausiliare di Pozzuoli;
S.E.R. Mons. Vincenzo Viva, Vescovo di Albano.

***
Vorrei ora offrire qualche spunto di riflessione su tre aspetti del Cammino sinodale. Li considero tre possibili ambiti in cui le nostre Chiese che sono in Italia possono fare un passo in avanti, un vero progresso.

Una nuova collegialità
4. Noi Vescovi siamo chiamati a vivere sull’onda lunga del Concilio Ecumenico Vaticano II. Noi siamo quello che il capitolo III di Lumen Gentium ci ha consegnato, quando parla dell’Episcopato. Conosciamo bene quelle pagine mirabili. Ma c’è un aspetto che mi pare sia venuto il tempo di riprendere in mano con nuova consapevolezza: ed è la collegialità episcopale. Così si esprime il Concilio: «Il Signore Gesù, dopo aver pregato il Padre, chiamò a sé quelli che egli volle, e ne costituì dodici perché stessero con lui e per mandarli a predicare il regno di Dio (cfr. Mc 3,13-19; Mt 10,1-42); ne fece i suoi apostoli (cfr. Lc 6,13) dando loro la forma di collegio, cioè di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro» (Lumen Gentium, n. 19). La chiamata del Signore a predicare il Vangelo e la comunione stabile tra di noi, cum Petro et sub Petro: questa è la nostra vita ordinaria, il nostro “respiro” di sempre.
Ora il Cammino sinodale della Chiese che sono in Italia e il Sinodo universale sono una occasione per una nuova e più profonda consapevolezza del nostro essere pastori. Papa Francesco ci spinge nella direzione di una maggiore attenzione alla nostra gente. E non è proprio questa l’ecclesiologia del Vaticano II, quella secondo cui la Chiesa è “popolo di Dio”?
In questi decenni abbiamo vissuto con grande impegno, peraltro non senza fatiche, la dimensione della collegialità episcopale: nelle Conferenze Episcopali Regionali e negli organismi stessi della CEI. Ora il Cammino sinodale, supportato dal magistero di Papa Francesco, sembra chiedere un salto di qualità, «una conversione pastorale» (cfr Evangelii Gaudium, n. 32). Quello che era implicito nei documenti e soprattutto nello spirito del Concilio, quando ad esempio la Lumen Gentium fa precedere il capitolo sulla Costituzione gerarchica della Chiesa (cap. III) da quello sul Popolo di Dio (cap. II) . Era una scelta non casuale, ma voluta: esprimeva l’idea che il pastore si capisce solo alla luce e nel servizio al suo gregge.
Voi direte: «Ma sino a qui nulla di nuovo». In parte è vero, in parte no. È utile anzitutto tornare a essere consapevoli di quello che può sembrare scontato. Il Cammino sinodale ci chiede di fare un passo ulteriore: di far maturare la collegialità che viviamo tra di noi verso la sinodalità di tutti i soggetti ecclesiali. Abbiamo l’opportunità di coinvolgere tutti i credenti, anche quelli più tiepidi, facendoli sentire non accessori o meri destinatari, ma essenziali della vita della Chiesa. L’evangelizzazione, la missione cioè di portare il Vangelo a ogni creatura, riguarda infatti tutti i battezzati. È l’occasione per apprendere un nuovo “respiro ecclesiale”, quello del popolo di Dio protagonista insieme con il suo pastore.

Un nuovo ascolto
5. Sappiamo bene che il Cammino sinodale che abbiamo intrapreso nelle nostre diocesi è plasmato dall’ascolto. Quante volte abbiamo ascoltato le persone che ci hanno raggiunto e quante volte siamo stati ascoltati da persone a cui avevamo qualcosa da dire! Questa è una dinamica antropologica basilare: senza ascolto non c’è vita. Ed è anche una dinamica ecclesiale fondamentale, come ci ha ricordato Papa Francesco, quando ha detto che dobbiamo invocare dallo Spirito Santo il «dono dell’ascolto» .
In questo senso, l’ascolto che ci è richiesto all’inizio del Cammino sinodale non è un gesto strategico né un pro forma. Si tratta di una tappa ecclesiale imprescindibile, alla luce della natura della Chiesa come popolo di Dio. Il discernimento parte già dall’ascolto, se quest’ultimo è libero, sincero e costruttivo. Tanti di noi hanno già riflettuto o stanno riflettendo su come concretamente mettere in atto nelle Diocesi questo ascolto dei laici, dei religiosi e dei presbiteri. Su questo mi permetto di tornare tra poco.
Adesso vorrei puntare l’attenzione su un altro aspetto dell’ascolto, che mi pare possa costituire lo spazio per un secondo passo avanti. Riprendo per questo una dinamica della Parola di Dio, che mi aiuta a spiegarmi. Quando pensiamo all’ascolto nella Bibbia il primo pensiero va al brano classico del libro del Deuteronomio, che noi incontriamo nella Compieta del sabato sera e che ogni pio israelita recita almeno una volta al giorno: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo» (Dt 6,4). Sono parole che immediatamente vengono ricondotte al nostro dovere di ascoltare il Signore, cioè di obbedire a lui, di riconoscere che egli è l’unico Signore della nostra esistenza.
Eppure altrove il soggetto di questo ascolto è Dio e non l’uomo. Lui stesso lo dice, rivolgendosi a Mosè: «Ho udito il grido del mio popolo» (cf Es 3,7). E così fa anche con tanti altri personaggi, che nella Sacra Scrittura si rivolgono a lui. A questo ascolto da parte di Dio segue sempre una sua decisione di intervenire per cambiare le cose. Quello che mi colpisce è questo: Dio ascolta e, sulla base di quello che ha ascoltato, interviene. Lasciatemi dire così, in altre parole: il Dio della Bibbia rivela la capacità di un ascolto empatico verso i suoi, al punto da cambiare atteggiamento e muoversi per andare loro incontro.
Facendo tesoro di questa dinamica biblica, mi pare di vedere nel Cammino sinodale una grande occasione di crescita non solo per noi pastori, ma per la Chiesa nel suo complesso. Si tratta di modificare la direzione del pensiero: non c’è più chi parla soltanto e chi ascolta soltanto; tutti siamo in ascolto gli uni degli altri, e soprattutto in ascolto dello Spirito. Tutti siamo in cammino di crescita. Quella dell’ascolto non è una dinamica unidirezionale, ma un metodo ecclesiale per progredire insieme nella fedeltà al Vangelo oggi. Come ha affermato Papa Francesco: «Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, nella consapevolezza che ascoltare “è più che sentire” (Evangelii Gaudium, n. 171). È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l’uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo “Spirito della verità” (Gv 14,17), per conoscere ciò che Egli “dice alle Chiese” (Ap 2,7)» .
Anche in questo caso, dunque, vedo nel Cammino sinodale una opportunità da non perdere per porre le basi di un ascolto dello Spirito e di tutte le voci della Chiesa. Nessuno è esclusivamente docente e nessuno è esclusivamente discente: ci si ascolta, si impara e si cresce insieme.

Una nuova creatività
6. Sempre restando nell’ambito della fase dell’ascolto, permettetemi di sottoporvi un terzo ambito in cui il Cammino sinodale mi pare che possa esserci di stimolo e di sostegno.
Per spiegarmi parto questa volta da un breve articolo della Costituzione Apostolica Episcopalis Communio di Papa Francesco. Si tratta appunto di un articolo, ma nella sua forma letteraria giuridica mi pare che rilanci un’idea ecclesiologica molto importante per noi oggi. Si legge così all’art. 6: «In ciascuna Chiesa particolare i Vescovi svolgono la consultazione del Popolo di Dio avvalendosi degli Organismi di partecipazione previsti dal diritto, senza escludere ogni altra modalità che essi giudichino opportuna» .
Queste parole esprimono una sapienza antica della Chiesa. Le procedure che metteremo in campo nei prossimi mesi dovranno anzitutto tenere conto di quanto abbiamo già a disposizione. Sarebbe improprio trascurare l’ascolto degli organismi già esistenti e previsti dal Codice, come il Consiglio presbiterale o il Consiglio pastorale diocesano, soprattutto là dove questi costituiscono già un supporto rodato ed efficace alla vita della Chiesa diocesana. Là dove non è ancora così, si ha ora l’opportunità di renderli più efficaci, perché tornino a giocare il ruolo che il Diritto canonico assegna loro.
Ma il Papa va oltre. Scrive: «Senza escludere ogni altra modalità che i Vescovi giudichino opportuna». Questo è lo spazio della nostra sapiente creatività pastorale. L’ascolto dovrà riguardare quanti possono contribuire all’edificazione di una Chiesa più trasparente del Vangelo nel mondo di oggi. Mi sia permesso di dire che non ci si deve aspettare che la CEI avanzi delle proposte in questo ambito: ciascun Vescovo ha facoltà di elaborare ad hoc forme, appuntamenti, contesti, organismi per rendere questa fase di ascolto la più vitale e proficua possibile.
A questo proposito, però, avanzo una richiesta, che resta nell’ambito della condivisione fraterna. Senza dubbio la fase dell’ascolto riguarderà i laici, i presbiteri e coloro che vivono una specifica esperienza ecclesiale nei movimenti e nelle associazioni laicali.
Tra questi due ambiti, però, c’è uno spazio molto ampio che attende di essere esplorato e valorizzato da noi pastori proprio in questa fase. Ognuno di noi conosce infatti persone che, pur non essendo pienamente integrate nella vita della Chiesa, avrebbero qualcosa di importante da dire. A volte le situazioni dolorose o tristi della vita possono averle allontanate o relegate in un ambito di silenzio forzato, ma sono persone rimaste interiormente vicine al Signore: chiediamo a Lui occhi per vedere e dare voce anche a costoro. Si tratta di tenere il diaframma del cuore il più aperto possibile, per consentire a chi vuole di lasciare un’impronta di luce: anche a chi vive nell’ombra, suo malgrado. Attraverso il Cammino sinodale abbiamo l’occasione, come pastori, di mostrare il volto misericordioso della Chiesa.
Affidiamo i lavori di questa Assemblea all’intercessione della Vergine Maria, del suo sposo Giuseppe e a tutti i Santi e le Sante patroni delle nostre Chiese. Vi ringrazio di avermi ascoltato e di quanto vorrete osservare e proporre.

L'Introduzione del Cardinale Presidente