Insieme ai carcerati

Insieme ai carcerati

3 Agosto 2022

Il cammino sinodale tocca e coinvolge anche le carceri, dove gli operatori della pastorale penitenziaria hanno svolto in questi mesi un percorso di particolare ascolto della realtà in cui operano. Sono stati creati piccoli gruppi sinodali, composti da quanti partecipano con una certa assiduità alla celebrazione eucaristica.

Un primo elemento comune emerso, spiega don Marco Fibbi, coordinatore dei 7 cappellani del carcere di Rebibbia, è “un’esperienza di Chiesa e di fede tramandata da figure parentali che riguardano soprattutto l’età dell’infanzia e dell’adolescenza, cui ha fatto seguito un periodo di graduale allontanamento dalla pratica religiosa”. Nonostante la frequentazione giovanile, “è emersa una sostanziale difficoltà a comprendere le espressioni tipiche della pratica religiosa – continua Fibbi – tanto da chiedere un cambiamento di linguaggio perché sia i battezzati possano riscoprire il valore di essere cristiani, che i non battezzati possano accedere con acceso desiderio al nuovo cammino offerto”. Ad emergere è stata poi la constatazione che “la sofferenza vissuta nel carcere permette loro di fare esperienza di Dio e di sperimentare una solidarietà nella difficoltà. Ancora, il valore del sacramento della riconciliazione che permette di avviare il processo per cambiare lo sguardo su se stessi e vedersi con gli occhi di Dio e non con quelli della condanna”.

La stessa esperienza di ascolto la si è sperimentata nel carcere femminile di Rebibbia. “In questo tempo particolare abbiamo svolto con le ragazze un percorso sulle Beatitudini, che loro hanno affrontato con grande serietà”, racconta Chiara D’Onofrio, membro dell’équipe sinodale e volontaria nella sezione femminile del carcere di Rebibbia. Quello che maggiormente è emerso “sia in chiave positiva che negativa, è il bisogno manifestato di fare esperienza di relazioni autentiche e di prossimità da parte della Chiesa, talvolta percepita soltanto come un’istituzione separata e lontana”. Ecco allora che “c’è forte il bisogno e il desiderio di capire cosa sia davvero la Chiesa, anche rispetto al rapporto personale che è possibile instaurare con Dio, che molte delle detenute riscoprono in carcere nel fermarsi a riflettere con loro stesse e perché messe di fronte alle proprie difficoltà, quando si riaccende quella luce che ci abita”.