L’intervento di Lucia Capuzzi

L’intervento di Lucia Capuzzi

31 Marzo 2025

Pubblichiamo l’intervento di Lucia Capuzzi, membro del Comitato Nazionale del Cammino sinodale, alla Seconda Assemblea sinodale delle Chiese in Italia. 

Abbiamo camminato. Non lo avevamo previsto né preparato. Ci siamo fidati della “spinta” profetica di Papa Francesco che ha messo in Sinodo tutta la Chiesa. Le sue parole, ripetute più volte fin dal Convegno Ecclesiale di Firenze nel 2015, si sono fatte strada dentro di noi, insinuandosi nel profondo. Così, dopo il discorso al Consiglio catechistico nazionale, dal maggio 2021, con in mano la preziosa bussola dei Convegni ecclesiali, ci siamo messi in marcia, non senza una certa dose di impaccio.
All’inizio i piedi hanno fatto fatica ad aderire alle asimmetrie di un tragitto che s’andava abbozzando sotto i nostri occhi. Ne intuivamo la consistenza pur non vedendone i contorni. Dietro una sequenza di tornanti dalle forme irregolari, il punto d’arrivo appariva irriducibilmente oltre. Più ci affannavamo per avvicinarci, più ci siamo trovati prossimi alle altre e agli altri viandanti che popolano la via. Come ci insegna la bella metafora di Doroteo di Gaza: “Immaginate che il mondo sia un cerchio, che al centro sia Dio, e che i raggi siano le differenti maniere di vivere degli uomini. Quando coloro che, desiderando avvicinarsi a Dio, camminano verso il centro del cerchio, essi si avvicinano anche gli uni agli altri oltre che verso Dio. Più si avvicinano a Dio, più si avvicinano gli uni agli altri. E più si avvicinano gli uni agli altri, più si avvicinano a Dio”.
Crisi drammatiche hanno intersecato il nostro andare, lasciandovi tracce indelebili, come confermano i documenti elaborati dalle Chiese locali in questi quattro anni. La pandemia, l’aggiungersi di nuovi “pezzi” alla Terza guerra mondiale in atto, le catastrofi ambientali acuite in intensità e frequenza dal riscaldamento globale, la crescita del disagio psichico soprattutto fra gli adolescenti, l’accentuata criminalizzazione dei migranti, il lievitare dei ricavi dell’industria delle armi, l’ampliarsi delle diseguaglianze, il ripetersi di femminicidi e omicidi familiari, l’inadeguatezza del sistema carcerario, la polarizzazione, l’accentuarsi della disaffezione politica ed elettorale. Sofferenze indicibili incise sulla pelle delle donne e degli uomini che pellegrinano sui sentieri polverosi della contemporaneità.
Con loro e fra loro abbiamo camminato, fedeli al mandato del Maestro che ci vuole discepoli missionari, testimoni attuali del Risorto.
Ora su ciottoli, ora sul selciato, ora su chiazze d’asfalto, le nostre gambe hanno scoperto l’armonia di muoversi al ritmo dettato dal percorso. Senza salti o forzature. Lo scrutare l’orizzonte non ci ha distolto dall’osservare quanto ci circondava, lasciandoci incantare e sorprendere da particolari che, a volte, avevamo smesso di vedere. Ci siamo concessi, nel tragitto, di soffermarci per guardare ed essere guardati a partire da quanti erano meno visibili perché relegati, in vari modi, ai margini del tracciato. Confinati a cauta distanza per non intralciare, con la loro presenze, la sfilata dei camminatori più promettenti, addirittura alcuni erano abbandonati inermi fuori dal selciato.
Non abbiamo “tirato dritto” frettolosi di arrivare a destinazione. Abbiamo sostato per tendere loro le mani. E in quell’atto ci siamo resi conto quanto braccia e schiena fossero gravate da fardelli pesanti. Bagagli spesso utili ma troppo ingombranti per chi vuole camminare incontro all’umanità.
Soprattutto in quel primo tratto che abbiamo chiamato “fase narrativa”, abbiamo imparato ad ascoltare. Aiutati dal metodo della “conversazione nello Spirito”, abbiamo teso le orecchie ai compagni di viaggio, quelli scelti e quelli ai quali non avremmo immaginato di affiancarci in partenza. Sono nati così, lungo il cammino, oltre 50mila gruppi sinodali e migliaia di laboratori pastorali nell’ambito dei Cantieri di Betania.
Ancora, proseguendo durante l’anno sapienziale di discernimento ecclesiale, i lavori del Comitato nazionale, istituito per accompagnare il Cammino sinodale, delle Commissioni Episcopali e degli Uffici Cei hanno arricchito questa polifonia di voci, dai toni e gli accenti più svariati.
Non è stato sempre facile andare oltre il rumore di fondo per far spazio al discorso altrui mettendo in discussione certezze e consuetudini. In un tempo in cui pare che, dinnanzi alle differenze e alle incomprensioni, le uniche opzioni possibili siano l’assimilazione, la separazione o la guerra, abbiamo scelto il dialogo. Il colloquio franco e autentico, acceso a volte, non scevro di resistente e ostacoli, ma sempre disposto a restare in comunicazione con l’interlocutore, senza cedere alla tentazione di “far saltare il tavolo” poiché siamo convinti che verso il futuro si possa andare solo condividendo la responsabilità di un passo comune.
Conoscendoci e riconoscendoci abbiamo scoperto, non senza grata commozione, che ciascuno aveva parole e silenzi eloquenti da donarci. Gemiti o canti, lamenti o lodi, riflessioni, recriminazioni, sogni in cui abbiamo percepito il soffio leggero e dirompente dello Spirito. In questi racconti di carne e sangue, abbiamo toccato con mano come, nel mezzo dell’attuale cambiamento d’epoca, il desiderio di Dio non sia scomparso. Tutt’altro.
È vero, come ci ricorda la sociologia religiosa, che tutti gli indicatori tradizionali appaiono in calo, dalla partecipazione all’Eucaristia ai Battesimi ai matrimoni. La saldatura, spesso più apparente che reale, fra principi di fede e comportamenti sociali è ormai venuta meno. Il declino, però, non equivale al deserto, il terreno che calpestiamo non s’è tramutato in sabbia. Nascosti sotto strati sottili, fra le deviazioni di una quotidianità mutata, i germogli di Regno continuano a fiorire lungo la strada. La sete di infinito, la fame di senso, la necessità di squarci di Cielo è sconfinata. Si esprime, però, in modalità che, come Chiesa, facciamo fatica a intercettare. Non perché il Vangelo non sia adeguato all’odierno vivere. Al contrario. La Buona Notizia è urgente forse come non mai. Ne siamo convinti. Vogliamo dunque annunciarla con la stessa passione e fiducia nel Signore che ha nutrito la nostra millenaria Tradizione. Per questo, rifiutiamo di cedere al facile vittimismo, di battere in ritirata per non dovere fare i conti con un mondo in cui sembriamo “non contare” come prima, di arroccarci in cittadelle di pochi eletti in cui attendere un domani che ci fa paura senza “sporcarci le mani”. Di costruire nuovi muri di intransigenza ai già troppi che dilaniano il pianeta. Come ci ha ricordato il cardinale Matteo Zuppi nell’intervento di apertura della Prima Assemblea sinodale: “Tutti, tutti, tutti sono affidati alle nostre cure. Gesù scelse i discepoli per rispondere a questi “tutti”, perché la folla diventi famiglia”.
Lungi dal rimpiangere un potere e un prestigio mondani perduti, i grandi numeri e le impalcature imponenti, l’interrogativo che, con cuore sincero, ci poniamo è come e cosa dobbiamo cambiare nelle forme storiche e nello stile per continuare, in quest’epoca, a rendere ragione della nostra Speranza.
È stato il vissuto di quanti abbiamo ascoltato – luogo teologico secondo la logica dell’Incarnazione – a segnalarci, come ci ha ricordato Papa Francesco, “le dimensioni prioritarie per rimettere in moto alcuni processi, per compiere scelte coraggiose, per tornare a annunciare la profezia del Vangelo, per essere discepoli missionari”. Abbiamo constatato che, in quanto il Popolo di Dio ci chiede con forza, risuonano le intuizioni di Evangelii Gaudium: una Chiesa evangelica, accogliente e ospitale, attenta più alle relazioni e alla testimonianza che alla conservazione delle strutture, in grado di affiancare anche quando fatica a comprendere, pronta a curare i feriti senza distinzione alcuna, di caricarsi in spalla quanti sono oberati dalle fatiche invece di gravarli di nuovi pesi. Una Chiesa discepola oltre che Maestra, capace di passione e compassione, che sa ascoltare la voce dello Spirito nelle grida degli ultimi, degli indifesi, degli scartati, i preferiti di Dio, perché difendendo loro si protegge l’intera famiglia umana. Una Chiesa determinata a un’opzione preferenziale per i poveri, nello stile delle Beatitudini e nel solco del Concilio, a servizio del sogno di Dio in atto nella storia e per questo impegnata contro ogni violazione delle dignità degli esseri umani e del Creato. Una Chiesa capace di contrastare l’iniquità, di ricucire le relazioni rotte e i fili spezzati di un mondo in frantumi. Di farsi strumento di pace mentre infuria la guerra e si moltiplicano i fronti. Di tessere alleanze buone con tutte le donne e gli uomini di buona volontà, di diverse appartenenze religiose e culturali, per farsi promotrice di fraternità. Per forgiare insieme alternative di vita umane e umanizzanti mentre la disumanità avanza. Come afferma il Documento finale del Sinodo universale: “Pratiche autentiche di sinodalità permettono ai cristiani di elaborare una cultura capace di profezia critica nei confronti del pensiero dominante e offrire così un contributo peculiare alla ricerca di risposte alle molte sfide che le società contemporanee devono affrontare e alla costruzione del bene comune”.
Ora è il momento di tradurre in scelte e decisioni quanto appreso nel cammino. Vogliamo farlo con umiltà e determinazione. Non si tratta di distruggere per riedificare. Né tantomeno di cambiare tutto perché ogni cosa resti com’è. Il verbo che ci guida in questo compito è “snellire”: alleggerire quanto è diventato troppo pesante per camminare insieme. Toccare quei nodi che consentono di sbloccare alcune dinamiche ostili alla sinodalità. Le abbiamo chiamate “condizioni di possibilità” per dinamiche più evangeliche e missionarie.
Abbiamo fatto molti passi per essere consapevoli della rinnovata missione della Chiesa. Molti altri ne rimangono da fare. È bello questo tratto che conclude la fase profetica e apre quella, altrettanto importante, della ricezione delle scelte maturate, coincida con il Giubileo dedicato alla Speranza, essenza della vita cristiana quella che, come ci ricorda la bolla di indizione dell’Anno Santo, “imprime l’orientamento, indica la direzione e la finalità dell’esistenza credente”. Nel pellegrinaggio verso il Cielo, ci consenta di passare per la terra con la gioia contagiosa di figli amati. Sostenuti e grati dalla fiducia dei tanti e delle tante che in questi anni hanno risposto con entusiasmo all’appello sinodale della Chiesa italiana. Non possiamo deludere le loro attese. Per questo, abbiamo camminato e continuiamo a camminare.