L’omelia di Mons. Palmieri

L’omelia di Mons. Palmieri

16 Novembre 2024

Pubblichiamo l’omelia che Mons. Gianpiero Palmieri, Vescovo di Ascoli Piceno e di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, Vice Presidente della CEI, ha pronunciato durante la Celebrazione eucaristica del 16 novembre, seconda giornata dell’Assemblea sinodale. 

Carissimi!
Confesso che fa una certa impressione sentir risuonare in questo luogo, così significativo per noi, la domanda del Signore: “quando il figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?”. È una domanda forte, che ci spinge a guardare la realtà, una domanda divenuta terribilmente concreta oggi, perché il problema che ci troviamo ad affrontare è la fede, la questione che ci interroga continuamente è la trasmissione della fede.
Il Consiglio Episcopale Permanente, circa un mese fa, ha incontrato Paola Bignardi e ha ascoltato e riflettuto sui dati della ricerca dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, una ricerca sui giovani e la fede,[1] da cui risulta che nel 2013 circa il 60% dei giovani dai 18-30 anni si dichiarava cattolico, nel 2023 era sceso quasi della metà, al 33%; se la tendenza continua ad essere così accelerata, allora nel 2033 sarà il 17%, e nel 2050 il 7%. Inoltre, ad essere sempre più indifferenti e critiche verso la Chiesa sono soprattutto le giovani donne, dato nuovo e preoccupante.
Sono stato parroco in questa città, a Roma, in un quartiere di livello sociale medio-alto, e quando oggi incontro qualcuno dei giovani che in quegli anni (il primo decennio del 2000) hanno partecipato ai gruppi parrocchiali, scopro che c’è ancora un grande affetto che ci unisce; mi saltano al collo felici e riconoscenti, e mi dicono: “ti ricordi gli incontri del nostro gruppo?  E i campi, le uscite, i grest? Che bei tempi, quante ne abbiamo fatte! Quelle esperienze mi hanno aiutato a crescere!”. Ma se provo a domandare qualcosa su ciò che vivono ora, mi dicono: “sai, ora non frequento più… No, non mi sono sposato, vivo con la mia compagna, abbiamo avuto dei bambini ma non li abbiamo battezzati. Scusa, non ti offendere, ma io non credo più…”. I catechisti di quella parrocchia mi dicono che circa un terzo dei bambini della scuola primaria non si avvale dell’ora di religione cattolica, non viene in parrocchia per l’iniziazione cristiana, spesso non è battezzato. E non soltanto perché sono stranieri e professano altre religioni! Spesso sono italiani ex cattolici divenuti non credenti.
Da bambino vivevo a Roma, in un quartiere non lontano da qui, e la mia famiglia veniva spesso in questa Basilica per partecipare alla S. Messa della domenica: ricordo la Chiesa grande ma gremita! Se permettete una provocazione, un’immagine ardita, possiamo ipotizzare che nel 2050 le guide turistiche diranno ai visitatori di questa Basilica: “chi di voi è interessato a sapere come funziona la liturgia dei cattolici, può venire la domenica nella piccola cappella del Crocifisso, a fianco dell’abside, perché i praticanti sono tutti lì, entrano tutti in quella cappellina…”. Se ciò che dico è sicuramente una provocazione, rimane però il fatto che oggi il Signore ci chiede: “quando il figlio dell’uomo tornerà, troverà la fede sulla terra?”
In un altro brano del Vangelo, Gesù dice che quando Lui tornerà, ci sarà ad aspettarlo il Discepolo Amato (Gv 21, 20-24). Possiamo chiederci: questo Discepolo Amato parlerà europeo? Parlerà italiano o parlerà un’altra lingua? Eppure, anche se il quadro è questo, noi sappiamo che abbiamo vissuto e stiamo vivendo una stagione entusiasmante della storia della Chiesa: il tempo del Concilio Vaticano II, di una riforma ecclesiale che è un vero ritorno al Vangelo del Regno di Dio, alla fede più autentica nella presenza del Crocifisso Risorto e nella potenza del suo Spirito. In questi sessant’anni (il prossimo anno sono sessant’anni dalla fine del Vaticano II), le intuizioni dei padri conciliari stanno gradualmente diventando un patrimonio condiviso da tutta la Chiesa, si stanno trasformando in stile e prassi ecclesiale. Ci stiamo convertendo, mettendo da parte privilegi e poteri mondani, divisioni rancorose e pretese di primogeniture, letture ideologiche e divisive della Parola di Dio e interpretazioni inumane delle esigenze del Vangelo. Ma nonostante questo, la storia umana va in un’altra direzione. Il peso soffocante dei nostri errori del passato e del presente ci viene continuamente rimproverato.
Sicuramente la rivelazione cristiana non è disprezzata, ma è considerata “vecchia”, e non più significativa per interpretare la vita, per vivere bene. Non si è spenta la ricerca spirituale nel cuore delle persone e dei giovani, semplicemente noi siamo considerati un po’ come “pezzi da museo”! Allora: siamo qui per invocare lo Spirito, per pregare il Signore con insistenza, come la vedova del Vangelo, supplicando: “rivelaci la tua volontà, mostraci Tu il cammino da fare! Come vuoi la tua Chiesa? Quale forma deve avere perché possa annunciare il Vangelo oggi?”.
Sappiamo che, quando invochiamo lo Spirito, come oggi all’inizio dei nostri incontri sinodali, non lo facciamo perché “ci sta bene”, perché è una tradizione, ma lo facciamo perché lo dobbiamo fare, è radicalmente necessario, perché non conosciamo qual è la strada che il Signore vuol farci percorrere! Vi assicuro che in nessun cassetto della Presidenza CEI c’è il documento assembleare già scritto, perché il documento che nascerà sarà il risultato del lavoro che facciamo oggi e nei prossimi appuntamenti, sarà il frutto delle scelte compiute grazie al discernimento comunitario e alla pratica della “conversazione nello Spirito”. Se ci guardiamo attorno, sicuramente viviamo un tempo che ci destabilizza e ci preoccupa per la crisi della fede.
Vi invito ad alzare lo sguardo verso il mosaico dell’abside di questa Basilica, dove c’è il Cristo Pantocratore, Giudice Universale: il Signore tornerà e ci giudicherà, e il libro aperto che ha tra le mani con i versetti di Matteo 25, ci testimonia che ci giudicherà sull’amore.
Se guardiamo bene quel libro ha dei sigilli aperti; questo richiama Apocalisse 5-6: Gesù è l’Agnello immolato e ritto sul trono, Colui che solo può aprire il libro della storia umana chiuso dai suoi sette sigilli. Se il giorno della resurrezione, come un lampo, abbiamo visto il cavaliere del cavallo bianco “uscito vittorioso per vincere ancora” (Ap 6,2), assistiamo oggi con dolore al continuo ripresentarsi del cavaliere del cavallo rosso (la guerra), di quello del cavallo verde (la carestia, la pandemia), e del cavallo nero (la morte).
L’apertura del quinto sigillo mostra che da sotto l’altare si alza la voce degli “immolati a causa della Parola di Dio e della testimonianza” (Ap 6,9), i martiri di ogni luogo e di orni tempo, che gridano “Fino a quando o Sovrano, tu che sei santo e verace non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue sopra gli abitanti della terra?”. E si ode una voce che dice: “Allora venne data a ciascuno di essi una veste candida e fu detto loro di pazientare finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro” (Ap 6,10-11). È una risposta terribile! Il martirio continuerà fino alla fine del mondo. Ma nello stesso tempo Il Sovrano qui sulla terra fa “giustizia prontamente”, come dice Gesù nel Vangelo di oggi! Il Signore ha già fatto giustizia del sangue dei martiri, perché ormai quel sangue è il sangue del Figlio di Dio; il Sovrano della storia umana ha fatto suo il sangue di tutti i martiri del mondo, di tutti gli immolati a causa della Parola: così questo sangue ha una voce più eloquente di quello di Abele (Eb 12,24), perché testimonia la passione di Dio nella storia.
La passione dei martiri, degli immolati a causa della Parola, la passione di tutti i giusti, è ormai la passione di Dio: così Dio fa giustizia prontamente.
Noi quindi siamo la vedova del Vangelo. La vedova “importuna”, dice Gesù, è la Chiesa degli eletti, che grida al Signore notte e giorno: Fammi giustizia! La vedova è la donna a cui lo sposo è stato tolto e che lo attende fino alla fine della storia. Ella fa parte nella Bibbia del Popolo degli Anawim, dei piccoli e dei poveri che gridano a Lui, perché non hanno altro aiuto se non Dio.
Mi viene da dire: ci siamo arrivati, finalmente, a sentirci piccoli e poveri, a non sentirci più potenti e ricchi!
Da “chiamati” siamo diventati “eletti” perché siamo passati per la porta stretta (il cammello è passato per la cruna dell’ago), e siamo diventati un Popolo di Anawim: piccoli e poveri, gente che non ha tutto, non sa tutto, ma che si fida di Dio.
La nostra dignità di vedova del Signore brilla:
… quando piangiamo silenziosi accanto ad ogni figlio che è morto e che portiamo a Gesù
… quando mettiamo tutto ciò che siamo e che abbiamo (due spiccioli) nel tesoro del cuore di Dio, con la fiducia che egli farà tutto
… quando non ci stanchiamo di mostrare il Signore e solo il Signore, non noi stessi
… quando noi non ci stanchiamo di pregare il Signore
… quando, Signore, da questo altare, non ci stanchiamo di gridarti notte e giorno!
Allora Signore, siamo qui per invocarti, per tendere le nostre mani verso di te, Signore della storia, seduto sul trono, e a chiederti il dono dello Spirito, e così ricevere luce su ciò che è la tua volontà. Cosa vuoi dalla tua Chiesa, Signore? A quali passi la chiami? Quale futuro le riservi? Ci risuona dentro la tua domanda: il figlio dell’uomo, nella sua venuta, troverà la fede sulla terra? Davvero, Signore, viviamo questo rischio? Che ad attenderti non rimanga, nella nostra civiltà occidentale, che un piccolo resto di credenti? Che “dalle nostre parti” non ci sia nessun “Discepolo Amato” ad aspettarti con perseveranza?  Non sempre abbiamo gli antidoti per essere liberati dallo scoraggiamento.  Non possiamo non provare un senso di smarrimento, quando vediamo tanta morte, guerra, carestia, quando vediamo tanta disaffezione verso il Vangelo e verso la comunità cristiana.
Tu ci dici di pregare sempre, senza interruzione, perché sai che solo così evitiamo di ripiegarci su noi stessi, di preoccuparci del nostro ruolo nel mondo, più che di essere testimoni del tuo amore. Tu ci indichi le parole scritte nel libro e ci chiedi di essere testimoni del tuo amore. Sì, quello che dobbiamo fare è essere testimoni del tuo amore!
Carissimi, per concludere vorrei rileggere le parole di san Paolo VI alla fine del Concilio: Da questo centro cattolico romano nessuno è, in via di principio, irraggiungibile; in linea di principio tutti possono e debbono essere raggiunti. Per la Chiesa cattolica nessuno è estraneo, nessuno è escluso, nessuno è lontano. Ognuno, a cui è diretto il nostro saluto, è un chiamato, un invitato; è, in certo senso, un presente. Lo dica il cuore di chi ama: ogni amato è presente! E Noi, specialmente in questo momento, in virtù del Nostro universale mandato pastorale ed apostolico, tutti, tutti Noi amiamo! E infine questo Nostro universale saluto rivolgiamo anche a voi, uomini che non Ci conoscete; uomini, che non Ci comprendete; uomini, che non Ci credete a voi utili, necessari, ed amici; e anche a voi, uomini, che, forse pensando di far bene, Ci avversate! Un saluto sincero, un saluto discreto, ma pieno di speranza; ed oggi, credetelo, pieno di stima e di amore. Era l’8 dicembre 1965, parole profetiche, parole che oggi il Signore ci ridona e che facciamo nostre.

[1]     “Cerco, dunque credo? I giovani e una nuova spiritualità” a cura di Rita Bichi e Paola Bignardi, ed. Vita e Pensiero 2024