L’omelia di mons. Spreafico per l’apertura del Cammino sinodale

L’omelia di mons. Spreafico per l’apertura del Cammino sinodale

29 Novembre 2021

Cari fratelli e sorelle,
ci uniamo oggi a tutta la Chiesa all’inizio del cammino sinodale, in comunione con papa Francesco che ci ha chiesto di intraprendere questo tempo prezioso per imparare a camminare insieme. Ci sentiamo in comunione con tutte le realtà della nostra diocesi, che oggi iniziano con noi questo tempo di grazia che nella Chiesa italiana ci condurrà fino all’anno giubilare del 2025. Alcuni di voi oggi le rappresentano. Grazie di essere qui.
Gesù cammina con noi, come camminava abitualmente con i suoi discepoli. Infatti, la sua vita terrena si svolge per lo più in mezzo alla gente, incontrando, ascoltando, rispondendo alle domande e al bisogno di ciascuno, come nel racconto evangelico di oggi. Gesù non disprezza la richiesta di Giacomo e Giovanni, che vogliono i primi posti nel Regno di Dio. Ma la sua risposta è chiara e si articola in due parti. Per prima cosa il Signore chiede loro se potranno prendere parte alla sofferenza che lo attende. I due si dichiarano pronti, anche se la loro riposta si scontrerà in seguito con la paura davanti alla sofferenza e alla morte di Gesù. Tuttavia, in quanto a sedere accanto a lui, dipende dal Padre suo.
Cari amici, in ognuno esiste il desiderio e l’ambizione di essere grande, di stare al primo posto. Quante volte tuttavia ciò porta al confronto, allo scontro, al dominio sugli altri, alla prepotenza, a un’inimicizia che sfocia persino all’eliminazione dell’altro. Comprendiamo lo sdegno di Gesù, che non accetta che il pur giusto desiderio di essere grandi sia utilizzato per dominare e opprimere. La sua risposta è netta e duplice: “Voi sapete che coloro che sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti”. Si, anche noi lo sappiamo. Non credo sia necessario spiegare come dominio e oppressione siano a volte il modo di vivere di uomini e donne, che esercitano il potere in modo dispotico e violento. Gli esempi sarebbero numerosi nelle relazioni tra popoli e Paesi, ma anche nella vita di ogni giorno, nelle scelte, nelle parole, nei gesti di ciascuno, nel proprio modo di considerare gli altri e di agire nei loro confronti, soprattutto dei poveri e degli esclusi. La Bibbia lo ricorda spesso.
“Tra voi però non è così”. Tra voi, cioè anzitutto tra noi discepoli di Gesù, la grandezza si misura sul servizio, sulla diaconia, cioè sulla scelta di mettersi al servizio gli uni degli altri. Questa è l’unica misura di grandezza richiesta a ognuno di noi nel rapporto all’interno delle nostre comunità. Quante volte invece prevale la ricerca di ben altra grandezza: quella del ruolo, dell’approvazione, del posto o dell’incarico che uno forse ha avuto da tempo e che appare irremovibile e irriformabile, pena la rabbia, la tristezza, il lamento, l’autoesclusione. C’è tuttavia un passo ulteriore da compiere al di fuori della comunità dei discepoli: quello di essere non solo grandi, ma primi. Cari amici, “se vuoi essere primo, devi essere schiavo di tutti”, non solo servo, e non solo dei tuoi, della tua comunità, bensì di tutti. Lo schiavo era davvero l’ultimo nella scala sociale. Lo schiavo aveva un signore a cui obbedire. Lo schiavo non aveva dignità, bensì doveva riconoscere quella del suo signore. Ebbene, cari fratelli e sorelle, ecco la rivoluzione di Gesù: riconosci che in tutti c’è un signore che devi servire; a partire dagli ultimi e dai poveri in tutti c’è la dignità di quel Signore, che si è fatto servo di tutti, a cui tu devi offrire con umiltà il tuo aiuto, lo stesso che lo schiavo in maniera sollecita e obbediente offre al suo signore.
Questo comando di Gesù ci apre la strada del cuore per vivere il cammino sinodale con impegno, passione, unità, amicizia, umiltà, al servizio non solo delle nostre comunità, ma delle donne e degli uomini in mezzo a cui viviamo. Il Sinodo è fatto da noi, ma non è solo per noi, bensì per “incontrare, ascoltare” tutti, e poi saper “discernere”, cioè capire noi stessi e il mondo in cui viviamo in questo cambiamento d’epoca così difficile da decifrare e in cui dobbiamo cercare risposte che creino unità, condivisione, facendo crescere quella fraternità della famiglia umana, di cui ci ha parlato papa Francesco nella Fratelli tutti. Chiedo a tutti, cari fratelli e sorelle, di lasciarvi toccare da questo invito che ci è stato fatto e che ci vedrà generosamente partecipi, affinché la gioia del Vangelo possa trasformare i cuori e la storia, perché in questo tempo di sofferenza e di privazioni possiamo vivere la vicinanza di Dio, che si china su di noi per servirci, consolarci, offrirci la speranza di un un mondo migliore, più giusto e più umano, dove tutti possiamo essere servi gli uni degli altri e gustare la gioia della sua presenza amorevole. Ringraziamo il Signore, perché lui per primo si è fatto servo di tutti, perché è venuto per servire e non per essere servito.