Mons. Parmeggiani: l’ascolto sia lo stile permanente del nostro essere Chiesa-popolo di Dio

Mons. Parmeggiani: l’ascolto sia lo stile permanente del nostro essere Chiesa-popolo di Dio

19 Ottobre 2022

Pubblichiamo l’omelia di Mons. Mauro Parmeggiani, Vescovo di Tivoli e di Palestrina, pronunciata domenica 16 ottobre in occasione dell’apertura del secondo anno di ascolto sinodale nella Diocesi di Tivoli e di Palestrina. 

Cari fratelli e sorelle, ci ritroviamo in preghiera, in questo Vespro domenicale, per iniziare insieme il secondo anno di ascolto sinodale nella nostra Chiesa di Tivoli e di Palestrina, in comunione con tutte le Chiese che sono in Italia le quali, come noi, stanno compiendo questo “camminare insieme” dandoci il tempo per ascoltare Dio ed il popolo che Egli ama. Ascoltare ancora? Qualcuno potrebbe domandarsi? Ma non lo abbiamo già fatto lo scorso anno? Sicuramente si. Ma l’ascolto deve continuare, anzi direi che deve diventare lo stile permanente del nostro essere Chiesa-popolo di Dio. Quel popolo di Dio che – lungi dal sentirsi migliore di chi è apparentemente lontano da Lui – deve continuamente ascoltare Dio e continuamente ascoltare il mondo che cambia e al contempo che non smette mai di cercare chi dia senso, chi unifichi, chi dia pace e speranza alla propria vita!

Anche il Concilio Vaticano II, di cui l’11 ottobre scorso abbiamo ricordato il 60° anniversario dell’apertura, ci ha ricordato come il Signore “nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi” (Dei Verbum, 2) e che se è vero che l’ufficio “d’interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa è stato affidato al solo magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo” (Dei Verbum, 10) ci ricorda anche però che il magistero “non è al di sopra della Parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, pienamente la ascolta, santamente la custodisce e fedelmente la espone, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone da credere come rivelato da Dio” (Dei Verbum, 10). Per far questo, la Chiesa, lungo i secoli, ha sempre ascoltato e deve sempre più ascoltare “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono” (Gaudium et spes, 1) e che devono essere e sono pure “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (Gaudium et spes, 1). Come Chiesa, dunque, siamo invitati ascoltando ancora la voce del Concilio a essere per tutti gli uomini riflesso di quell’unica luce delle genti che è Cristo (cfr Lumen Gentium, 1) ma per far ciò occorre metterci in religioso ascolto della Parola e dei fratelli e sorelle in umanità. Per questo servizio dell’ascolto che ci accingiamo ad esercitare ancora all’interno delle nostre comunità ed anche, soprattutto e con creatività aprendo cantieri – il cantiere è sempre qualcosa di aperto, dove si sta costruendo ciò che ancora non è pienamente compiuto – i Vescovi italiani ci propongono come immagine, icona biblica alla quale fare costante riferimento, quella della Casa di Betania.

Rivisitiamo brevemente ciò che nel Vangelo ci è appena stato annunciato. Gesù è in viaggio verso Gerusalemme. E lungo la strada giunge al villaggio di Betania dove c’è la casa dei suoi amici: Lazzaro, Marta, Maria. Anche Gesù apprezza l’amicizia: la offre abbondantemente, la cerca. Anzi, potremmo dire che è venuto per cercare l’uomo, per dargli la sua amicizia gratuitamente perché l’uomo si lasci amare da Lui, e così corrisponda alla Sua amicizia che si rivela nell’amore più grande – quello del dare la vita per gli amici – affinchè noi suoi amici ci lasciamo attrarre da questa amicizia che ci porta, che porta e dona a tutti affinchè tutti la ricambino non per dovere ma per amore sia verso lui che verso i fratelli. Nella casa di Betania, Gesù viene accolto da Marta e dalla sorella Maria. Conosciamo i due atteggiamenti: Marta, che rappresenta il vecchio Israele, legalista, che pensa che per accogliere l’ospite, anche se questo ospite è Gesù, sia necessario fare delle cose, una serie di rituali faticosi ma che non le permettono di ascoltare la parola del Maestro. Maria che si pone per terra, ai suoi piedi, nell’atteggiamento del discepolo, per ascoltare – lasciando perdere tutto – la sua Parola. Durante questo ascolto di Gesù da parte di Maria, Marta si sovrappone, interviene dall’alto come spesso facciamo noi quando qualcuno si accosta alle nostre comunità per ascoltare il Signore Gesù, la sua Parola. Interveniamo noi, dall’alto, quasi per rimproverare chi ancora non ha ascoltato abbastanza la Parola o non l’ha ascoltata per niente per fargli pesare che siamo “soli” a servire. Che la gente non viene più alla Messa, che non abbiamo abbastanza catechisti, che non abbiamo chi suoni in Chiesa, che non abbiamo vocazioni, che più nessuno si sposa… Non è che forse anche noi, come Chiesa, ci siamo dati troppo alle cose da fare, come Marta, e avendo perso il senso del perché facciamo le cose, in un contesto culturale non più fortemente cristiano come in passato, abbiamo impedito e impediamo a molti di avvicinarsi alle nostre comunità e tramite esse a Cristo?
Come delle Marte potremmo dire anche noi a Gesù: ma dì a coloro che vorrebbero venire nelle nostre comunità – comunità che dovrebbero essere come le case di Betania: ospitali, con la porta sempre socchiusa come erano le porte degli ebrei quando mangiavano la Pasqua affinchè qualcuno, se voleva, vi potesse entrare – di aiutarci a servirti. Come delle Marte spesso anche noi facciamo infatti tanti servizi intraparrocchiali, intraecclesiali ma senza permettere a chi vuole ascoltare la Parola di Dio di accostarsi ad essa.
Comunità forse troppo strutturate, abbiamo perso la bellezza dell’accogliere tutti, come sono, senza discriminazioni, per permettere a tutti di ascoltare la Parola di Dio. Non di ricevere servizi religiosi o umanitari – certamente necessari ed utili – ma di ascoltare la Parola del Maestro che ci affascina perché ci dice parole di amore, è per noi il buon samaritano che paga con la sua vita affinchè tutti possano entrare nella Chiesa-casa ospitale per tutti.
Gesù pare riprendere Marta: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”. Attenzione: non è che Gesù rimproveri Marta per la sua azione, anzi per le sue azioni, il suo fare agitato, per il suo affannarsi. Ma la rimprovera nella misura in cui tutto ciò non le permette di ascoltare la Parola, quella Parola che deve essere all’origine di ogni nostra forma di servizio e diaconia nella Chiesa onde evitare che a lungo andare il nostro impegno per l’uomo – che a mio avviso è già andato abbastanza in crisi – vi giunga completamente perché l’azione non è stata purificata nella contemplazione: ossia nell’ascolto obbediente della Parola di Dio e del Magistero che non si deve porre sopra la Parola ma a servizio della Parola, dopo aver ascoltato il mondo e recandogli quel messaggio di amore che è il Vangelo di Gesù. In questa luce e prospettiva dovremo leggere il nostro impegno nell’ascolto di questo secondo anno di cammino sinodale che si apre innanzi a noi.

Dovremo porci in ascolto di chi vive la strada e il villaggio, le nostre comunità dovranno ascoltarsi al loro interno per verificare se sono aperte alla strada e al villaggio nei quali sono poste? Se si rapportano con chi vivendo sulla strada e nel villaggio non sempre si accosta alla Parrocchia o ha della Chiesa una immagine bambina, di erogatrice di sacramenti o organizzatrice di feste più o meno religiose… Se culturalmente sanno accogliere e rapportarsi con chi vive l’oggi della storia anche nelle nostre realtà vicine a Roma dove il livello culturale medio della gente si è alzato e, viceversa, molti altri sono rimasti nella povertà non soltanto materiale ma anche culturale. Dove forse anche le nostre comunità cristiane non si sono sapute aprire al nuovo, non hanno saputo ascoltare e così hanno continuato e continuano a proporre la fede dei sì e dei no, del si può fare e non si può fare, senza attenzione ai singoli e all’ascolto di tutti. Un ascolto sicuramente impegnativo perché non basterà il prete – come un tempo non molto lontano, tuttologo, che risolveva tutto e i problemi di tutti… ai quali tutti aderivano in “religioso ossequio…” – ma occorrerà corresponsabilità, formazione teologica, pedagogica, culturale, lavoro di rete con tutti gli uomini e le donne di buona volontà che desiderano ascoltare i bisogni della gente e dare risposte di senso proponendo l’Unico che dà senso a tutte le cose: Dio, e la sua Parola. Sì nelle nostre Parrocchie – e questo sarà il secondo cantiere – dovremo domandarci che corresponsabilità viviamo per fare in modo che tutti ascoltino la Parola di Dio. Un ascolto – e qui giungeremo al terzo cantiere – che fondi il nostro servizio, quello a chi giunge da lontano e quello che compiamo a chi ci è più vicino: in famiglia, nel mondo del lavoro, della scuola, della sofferenza, della malattia…
E ancora dovremo ascoltarci per mettere a punto, alla luce della Parola di Dio, della voce del Maestro che ci illumina e guida, i nostri itinerari diocesani di catechesi verso i sacramenti che iniziano alla vita cristiana, i nostri percorsi mistagogici per i ragazzi e i giovani, i nostri itinerari vocazionali verso il matrimonio e ogni altro tipo di vocazione che non potranno mai nascere se non ci saranno comunità accoglienti, con sacerdoti, uomini e donne, capaci di ascolto e proposta della Parola di Dio che indirizza alla forma di servizio da assumere nelle Chiesa per contribuire all’edificazione della medesima e a diffondere con essa la gioia del Vangelo di cui è pieno il cuore dell’annunciatore. Come dovremo ascoltarci e ascoltare la Parola di Dio per imparare a essere comunità dove si opera insieme, per zone o per unità pastorali o per competenze trasversali per evangelizzare.

Cari amici, al termine del Vespro vi saranno consegnate dai Referenti diocesani – Don Gianluca Zelli e Lucina Ciamei – nonché da altre due donne: Melissa Cicerone e Claudia Lupi alcune schede su cui lavorare nei Cantieri di Betania proposti a livello nazionale e quello pensato per la nostra Chiesa. Chiedo a Dio che anche questo lavoro che stiamo per intraprendere faccia sì che le nostre comunità, a partire dalle nostre parrocchie, divengano ciò che ho fatto scrivere su manifesti – se volete un po’ provocatori e che ci richiamano tutti a un certo impegno – da affiggere alle porte nelle nostre chiese: “La mia Parrocchia: casa dove si accoglie, dove si ascolta la Parola di Dio, dove si servono i fratelli… come a Betania”. Amen.